25 aprile, l’intervista a Pansa: «Lissone non resti un “miracolo” isolato»

«Gli anniversari bisognerebbe abolirli», dice Giampaolo Pansa, che poi però di 25 aprile parla sempre volentieri. Intervistato dal direttore Martino Cervo, col Cittadino accetta di parlare partendo dal “caso Lissone”.
25 aprile, l’intervista a Pansa: «Lissone non resti un “miracolo” isolato»

«Gli anniversari bisognerebbe abolirli», dice Giampaolo Pansa, che poi però di 25 aprile parla sempre volentieri. Non potrebbe essere diversamente, visto come i suoi libri – dal “Sangue dei vinti” in giù – hanno contribuito a plasmare l’immaginario collettivo del nostro Paese nel fare i conti con la sua stessa storia.
Col Cittadino accetta di parlare partendo dal “caso Lissone”, il comune brianzolo (giunta di centrosinistra) che ha voluto allargare la commemorazione del 70° della Liberazione alle sette vittime «fasciste o presunte tali», finite schiacciate nella guerra civile scoppiata dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Decisione che, come raccontiamo, ha suscitato violente reazioni in seno alla stessa Associazione partigiani (leggi la notizia).

«Viva l’Anpi di Lissone», inizia il cronista. «Quella del comune è davvero un’iniziativa sacrosanta. Sono ovviamente all’opposto dell’ideologia fascista, ma le guerre si fanno in due: ed è giusto ricordare anche i morti che hanno perso. Chi vince non può espellere dalla memoria gli altri. Sono assolutamente favorevole e sono molto contento che l’Anpi in questa città della Brianza si comporti ben diversamente dall’Anpi nazionale e da tante altre Anpi. Un’associazione i cui vertici furono in prima fila a insultarmi quando pubblicai i miei libri sulla guerra civile italiana. Mi sembra davvero un miracolo: il piccolo miracolo di Lissone, un Gronchi Rosa. La giunta di centrosinistra ha dato prova di grande civiltà. Ripeto: viva l’Anpi di Lissone!».

Pansa, nei suoi libri lei ha toccato quasi tutte le regioni italiane coinvolte nella resa dei conti dopo il 25 aprile. Quanto si sa della guerra civile in Brianza? E quanto resta ancora da scrivere?

«Ho scritto “Il sangue dei vinti” nell’ottobre 2003, e in soli tre mesi ha raggiunto le 200mila copie. Oggi, 12 anni dopo, siamo a circa un milione di copie. Ma il dato che mi ha più colpito non è questo, ma il fatto che da quando è uscito ho cominciato a ricevere lettere di tutti i tipi. Ho tenuto il conto: sono 20mila. Parenti, mogli, figli, nipoti (soprattutto donne) che volevano integrare la storia con le loro storie. Dunque c’è ancora tanto spazio per chi ha passione e voglia per raccontarle, sono certo che questo valga anche per il vostro territorio».

Il 25 aprile in Italia è un momento di “test” per la tenuta politica di molti leader italiani. Onna fu l’apice del consenso di Berlusconi nel 2009, e forse l’inizio della caduta. E per Renzi, di cui lei è fiero critico?

«Dallo tsunami di retorica, balle, omissioni, che mi farebbero sperare nell’abolizione degli anniversari non mi aspetto nulla di positivo. Renzi è abituato a misurare tutto sulla convenienza personale: rischio di sembrare arrogante, ma credo che qualunque cosa farà per il 25 aprile sarà comunque sbagliato…».

Allarghiamo un po’ il tiro. Al di là del giudizio personale sul premier, che 25 aprile è quello dell’Italia nell’era di Renzi? Si sono attutite certe rigidità ideologiche di quelli che lei chiamava “gendarmi della memoria”? In altra parole, è finalmente possibile 70 anni dopo un racconto condiviso?

«No, purtroppo. L’Italia è un popolo con memoria lunga, la riconciliazione non c’è mai stata e non so quando ci sarà, se non tra molti anni. Se ci sono cambiamenti, sono molto lenti e deve ancora passare qualche generazione prima di vederne davvero i frutti».

Le prime reazioni al “caso Lissone” sembrano darle ragione. Pansa, il 2015 ha visto le attese dimissioni di Giorgio Napolitano, protagonista della vita politica per oltre mezzo secolo. Il due volte capo di Stato, da ex quadro del Pci, ha maturato forti riflessioni sulle «zone d’ombra» della Resistenza, quindi sulle foibe e sull’intera parabola del comunismo. Da Sergio Mattarella, erede di un’altra tradizione politica, quella Dc, cosa si aspetta?

«Quando mi hanno assalito a Reggio Emilia impedendomi di parlare liberamente dei miei libri “revisionisti”, Giorgio Napolitano è stato il primo e l’unico politico di rango a stigmatizzare le aggressioni: gli sono tutt’ora grato per quello che ha fatto. Quanto a Mattarella vedremo: spero che abbia il coraggio di dire parole di verità su questa vicenda, soprattutto in occasione del 25 aprile. Non è giusto dare giudizi in anticipo, ma l’esperienza mi ha insegnato a contenere al minimo le aspettative».