Il bianco e nero delle immagini rende, se possibile, ancora più vivo il dramma del momento. La sovraesposizione di oggi alle immagini in megapixel esalta la squadrettatura di una foto scura e ruvida, proprio come le sensazioni che trasmette. «La Ferrari 3000 tutta contorta giace sul prato ai bordi della pista». La didascalia dello scatto di Neri è un’epigrafe. Poco più in là, «Le tragiche scie lasciate dal bolide dopo lo sbandamento all’uscita della curva». Non ci sono enfasi e iperboli, nelle cronache del Cittadino di Monza del maggio 1955. Semmai prosa dettagliata, che non risparmia particolari. “Il Cittadino Sport”, sottosezione del settimanale, titola a piene colonne «Unanime cordoglio e solenni onoranze alla salma di Alberto Ascari – dopo il tragico incidente all’autodromo». Sottigliezze linguistiche per dire che la cronaca della tragedia è già stata vissuta da tutti, inutile rincorrerla a soli due giorni di distanza. Troppo grande, troppo grave, quel che è accaduto. Tutti ne sono già a conoscenza. Ma nessuno riesce ancora a capacitarsene.
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«Il popolare “Ciccio”, una delle massime guide del volante, il corridore più amato dalle folle per la simpatia che ispirava e la bontà d’animo, ha trovato in maniera quasi banale la morte pochi quattro giorni di distanza dal pur pauroso incidente di Montecarlo, quando andava a tuffarsi in mare con il proprio bolide. Allora la vita gli fu salva, giovedì a Monza in pochi istanti era già un corpo freddo e inerte. Inspiegabile l’incidente che paurosamente l’ha stroncato». I dettagli di quei giorni attraversano il tempo e vibrano di umanità. «Alberto Ascari era giunto all’autodromo di Monza alle ore 11,30 in elegante abito, a bordo di una 600 che da poco aveva comperato[…] si limitò ad osservare Castellotti che girava sulla Ferrari 3000 con la quale entrambi avrebbero dovuto domenica partecipare alla 1000 Km. Alle 12,30 la moglie lo chiamò telefonicamente da Milano ed il corridore rispose: “Stai tranquilla, prepara da mangiare che alla 1 sono a casa”.
Detto fatto, ingeriva un panino e quindi chiese a Castellotti che gli lasciasse la guida della macchina per qualche giro. […] Solo si può constatare che la macchina prese ad uscire fuori pista esattamente nel punto in cui l’anno scorso capottarono tanto Sanesi che Zanardi sull’Alfa Romeo […]. Alcuni operai […] videro Ascari lanciato a forte velocità che sbandava sulla curva N.8 che immette sul vialone opposto alle tribune. Come la macchina uscì di curva, si mise di traverso portandosi tutta sul lato sinistro e per non finire nel prato, il pilota operava una gran frenata senza però esito alcuno: dopo una ventina di metri circa, la Ferrari faceva un gran salto e ricadeva alcuni metri in là con le ruote per aria, mentre Ascari restava schiacciato sotto. Zigzagando, la vettura percorreva una cinquantina di metri fra gli sterpi del prato poi, incontrato un piccolo avallamento, si impennava e sbalzava fuori il corridore a una distanza di 40 metri […]. Quando i primi soccorritori giunsero sul posto, raddrizzadono subito la macchina credendo che sotto vi fosse il ferito ma non trovandolo, lo cercarono nei pressi rinvenendolo vicino ad un gran cartellone pubblicitario, sul prato. Ascari era già spirato per lo sfondamento del torace e la frattura della base cranica; la macchina era tutta contorta nell’intelaiatura. Lungo il fatale tragitto, sono rimaste tracce di camicetta azzurra e del casco giallo del pilota[…]».
I particolari, minuziosi e macabri, si sprecano. Ma più che l’orrore è il dolore. «Straziante l’arrivo della moglie che quasi non poteva credere ai suoi occhi, penosa la visita di Villoresi e Castellotti che piangevano come bambini. Composto il catafalco, Ascari vi veniva steso vestito in nero, la testa avvolta in un bianco casco di bende, la faccia sfigurata per le enfiagioni e le ferite. Ininterrotto l’afflusso della popolazione per rendere al campione l’estremo omaggio, a profusione i fiori attorno alla salma […]». L’allora presidente dell’Automobile club Milano, Gianni Lancia, si affianca ai dirigenti della Ferrari e della Maserati, ai piloti Villoresi, Castellotti, Taruffi e Capelli nel salutare un’ultima volta Ascari. «Villoresi e Castellotti venivano dolcemente dissuasi dal fare la veglia notturna: avrebbe non poco nociuto al loro morale già fortemente depresso. Anche il presidente argentino Peron telefonava in ospedale chiedendo di Fangio che si trovava all’estero, perché porgesse ai familiari dello scomparso e ai rappresentanti dell’automobilismo italiano, le sue condoglianze e quelle della nazione sudamericana».