Il razzismo nel calcio è un tema molto dibattuto nelle ultime settimane. Una problematica che in passato ha toccato anche Monza, quando ad esempio fu sospesa Monza-Rimini nel 2013 per gli ululati nei confronti di Ameth Fall, attaccante senegalese dei romagnoli. Oggi è Kalidou Koulibaly a far parlare del razzismo sui campi di calcio, ma in passato erano stati il Treviso e Akeem Omolade. L’episodio risale alla stagione 2000/2001, a Terni: all’ingresso in campo del giocatore nigeriano una parte della sua stessa tifoseria ritirò gli striscioni e si incamminò verso l’uscita. Lo stadio, specie i sostenitori della squadra ospite, insorse a suo favore e protestò sommergendo di fischi il gesto della trentina di ultra trevigiani.
La settimana successiva compagni ed avversari, durante Torino-Treviso, si dipinsero la faccia di nero in segno di solidarietà. In quell’occasione Omolade segnò il suo unico gol in maglia biancoceleste, prima di passare proprio al Toro. Uno dei compagni di quell’anno era un giovane Reginaldo.
«Mi ricordo bene quel fatto; soffrimmo molto per quell’episodio. Siamo scesi tutti in campo con la faccia pitturata di nero per dare un segnale e i risultati furono subito tangibili (tanto che al termine della stagione il Treviso vinse il premio Fairplay della Fifa, nda), ma sono passati molti anni e pensavo che una certa ignoranza fosse superata. Siamo nel 2019 e ancora succedono queste cose? Anche se non penso si tratti di puro razzismo: io credo che Koulibaly sia un difensore talmente forte che i tifosi abbiano pensato di disturbarlo con ogni mezzo possibile, per cercare di distrarre la sua attenzione e favorire la propria squadra. In ogni caso nel 2019 non dovrebbe comunque succedere, il razzismo non dovrebbe esistere, tanto meno negli stadi».
Eppure, da regolamento, le partite possono essere interrotte dal direttore di gara se il giocatore bersagliato da certi insulti e comportamenti ne fa richiesta. «Sì, si possono fermare le partite, ma io credo che la risposta migliore che si possa dare all’ignoranza arrivi dal campo. Bisogna continuare a giocare dando il massimo e fare finta di niente. Per chi fa questo genere di cose allo stadio, l’isolamento e l’indifferenza sono la migliore risposta».
In un mondo che dovrebbe essere cambiato magari partendo proprio dai grandi eventi sportivi. «Io sono sposato con una donna bianca e ho tre figli mulatti, vivo in un mondo multiculturale e diverso. Il mondo deve imparare ad essere diverso, per i nostri figli».
E se dovesse capitare a Reginaldo, di essere bersagliato da fischi e ululati oppure di essere in campo quando dagli spalti viene insultato un compagno o un avversario, come si comporterebbe il giocatore brasiliano del Monza? «Non lo so, ma penso che non mi fermerei. In passato ho ricevuto dei fischi e sono sempre andato avanti a giocare. Ripeto, l’indifferenza è la risposta migliore».