Monza – Stefano Spera è un artista di Monza, e arte insegna. In estate è stato a dOCUMENTA (13), l’ultima edizione di una delle più importanti manifestazioni di arte contemporanea. Si tiene a Kassel, in Germania, ogni cinque anni e rappresenta una radiografia mondiale, istantantanea dello stato dell’arte. Nel vero senso della parola. Ha accettato di raccontarla al Cittadinomb.it. Ecco la sua Kassel.
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È quell’appuntamento con l’arte contemporanea che a ventotto anni, sei fai l’artista, sai di non poter perdere. Perché essendo quinquennale dOCUMENTA, arrivata alla tredicesima edizione, capita a pennello per poter ripensare al lavoro svolto in questi anni e capire se è valido rispetto agli interpreti presenti alla manifestazione tedesca, che sono i migliori artisti affermati o in rampa di lancio degli ultimi cinque anni a livello mondiale.
Alla partenza per Kassel, città che da sempre ospita la manifestazione, le aspettative sono molte e non sono il solo ad averle – infatti in questo viaggio mi accompagna Calogero Ninotta collezionista e gallerista (galleria Cart 7010 – Monza) interessato a seguire l’evoluzione dell’arte contemporanea e i nuovi talenti. Una volta arrivati in città, dOCUMENTA ci si pone non molto diversamente da quella che potrebbe essere una Biennale di Venezia: con alcuni padiglioni più grandi organizzati all’interno degli edifici più importanti o museali della città, come il Fridricianum, la Neue gallerie, l’Orangerie e gli adiacenti immensi giardini con tanti piccoli prefabbricati che ospitano installazioni di singoli artisti. Altresì vengono utilizzati anche tantissimi piccoli o grandi spazi più o meno pubblici in tutta la città.
Se proprio bisogna fare un paragone con la manifestazione italiana, si può notare che mentre il fulcro degli eventi ruota intorno a due luoghi principali come Arsenale e Giardini e la maggior parte degli altri eventi sono collaterali e indipendenti, a Kassel invece lo spettatore è invitato a girare moltissimo la città per letteralmente scovare opere anche sorprendenti in posti impensabili.
Un caso è Renata Lucas che fa scorgere un angolo della base di un’immensa piramide in cemento tra gli scaffali di un centro commerciale. Insomma dOCUMENTA (13) pretende e merita un’attenzione maniacale da parte dello spettatore, e visto la grande quantità di artisti e opere presenti, mi limiterò quindi a citare le opere e gli artisti che mi hanno colpito maggiormente.
Alla stazione ferroviaria si trova un’installazione ambientale di Laura Favaretto, che presenta una serie di rottami arrugginiti recuperati dalla stazione stessa e da altre fabbriche che si sviluppano in un ammasso indecifrabile e contorto di lamiere. Poco distante una stanza asettica e bianca contiene alcuni di quegli stessi pezzi disposti in maniera maniacale, a rivelarne delle forme rigorose e geometriche, rimandando quasi ad un ready made duchampiano.
All’interno dell’Ottuneum, museo di scienze naturali, si tratta la tematica del seme come origine, diversità etnica, politica e fulcro dell’economia; Claire Pentecost presenta un lavoro composto da lingotti di letame che secondo la sua idea di sviluppo dell’economia mondiale rappresentano l’oro del domani.
Alla Documenta Halle si trova invece l’interessante installazione di Yan Lei, artista cinese che ha realizzato trecentosessantacinque dipinti (raffiguranti immagini di consumo o massa e monocromi) che vengono collocati e catalogati come se fossero in un magazzino o un immenso scatolone, dove lo spettatore è autorizzato a muoversi e a cercarne con lo sguardo il preferito, ma allo stesso tempo la disposizione soffocante rimanda a un bombardamento mediatico in cui la pittura di ottima fattura viene quasi relegata a una mera esecuzione meccanica.
Nei giardini antistanti ad alcuni vecchi bunker, invece, si trova la serie di sculture di Adrian Villar Rojas, argentino classe 1980 già presente alla 54esima edizione della Biennale di Venezia, che presenta un percorso di sculture in continua evoluzione, partendo da un impatto minimale composto da strutture a travi di cemento realizzate a calco dal legno a un via via sempre più insistente e dinamico inserimento di figure, in parte scarnificate e nel medesimo materiale, dalla grande forza narrativa ed empatica.
Altri lavori interessanti si trovano nei giardini dell’Orangerie, come ad esempio Anna Maria Maiolino, che presenta un’installazione composta da duemila chili da argilla modellata che interagisce muta con un contesto quotidiano. Fiona Hall invece lavora sul mondo della natura realizzando feticci di animali esposti come trofei e lanterne magiche dove gli animali reali rimangono intrappolati e interagiscono con i loro falsi.
In conclusione: dOCUMENTA (13) raccoglie molti artisti interessanti. Quelli storici (Beuys e Boetti su tutti), che non ho volutamente citato perché non deludono mai e li conosciamo molto bene. Ma forse mi aspettavo qualcosa in più dalle giovani leve e dai contemporanei che sono sembrati un po’ sottotono rispetto all’importanza della manifestazione. Oltre a quelli descritti non sono molti a mio parere gli artisti che hanno osato nell’esposizione, portato qualcosa di diverso o un linguaggio innovativo: piuttosto ho visto molte citazioni e rimandi ad artisti passati. Forse dopotutto l’arte contemporanea potrebbe anche essere incappata in un periodo di autoriflessione o revisione. E in questo, d’altra parte, potrebbe non essere altro che lo specchio del periodo che stiamo vivendo.
Stefano Spera