Monza – “Puoi fare quello che vuoi ma a me non succederà niente”. Sfida la legge lo stalker, rivolgendosi al padre esasperato di una ragazza perseguitata da mesi. O forse la conosce e, in effetti, dopo tre mesi di prigione è tornato in libertà in attesa di giudizio e le molestie sono ricominciate. Telefonate, appostamenti, squilli e lettere sono tornate a turbare la vita di quella 18enne che non sa più cosa sia una tranquilla passeggiata in centro con le amiche. La vicenda è nota e la stampa locale ha già dato notizia, lo scorso luglio del primo arresto per stalking eseguito dai carabinieri da quando è stato classificato questo tipo di reato. Il molestatore è un uomo di 50 anni che vive solo e che dopo aver incrociato qualche volta la ragazza, circa un anno fa, l’ha eletta a oggetto dei suoi desideri.
Denunce. Le denunce si sono susseguite per mesi fino a quando l’uomo è stato sorpreso dai militari locali, mentre seguiva e avvicinava la ragazza in un centro commerciale. Le manette sono scattate e lo stalker è finito in prigione per tre mesi e mezzo. Poi tutto è ricominciato e sabato scorso i carabinieri, in borghese, sono riusciti ancora una volta a cogliere sul fatto il 50enne che per ben due ore, per le vie del mercato, ha pedinato la 18enne e la madre senza tregua.
“Ce lo siamo trovati davanti dopo essere uscite da un negozio – ha detto la signora – e poi dietro ogni angolo per tutta la mattina, a pochi passi. I carabinieri sono arrivati in borghese e hanno seguito tutta la scena, poi l’hanno portato in caserma e lo hanno denunciato l’ennesima volta. Ma cambierà qualcosa? Noi non riusciamo più a vivere”.
Presenze. Privo di un mezzo di locomozione, il molestatore gira la città a piedi appostandosi sotto l’abitazione privata della famiglia, piuttosto che fuori dall’azienda di proprietà. Li raggiunge nei centri commerciali, li insidia nei parcheggi, segue la ragazza e le sue amiche la domenica in chiesa. Parla poco, dice di amarla, prima dell’arresto arrivava a fare anche 200 telefonate al giorno al numero dell’azienda in cui lavorano madre, padre e figlia: un danno professionale oltre che psicologico. Da qualche mese è stato rilasciato in attesa dell’udienza che doveva tenersi il 4 dicembre, ma la data è stata rinviata ad aprile.
“I giudici rinviano il processo – ha commentato il padre – ma non sanno che per noi altri mesi così sono insopportabili. Perché non è stata emessa un’ordinanza restrittiva? Forse qualcuno lo ha giudicato non pericoloso. Ma spero proprio non succeda nulla o saranno loro a doverne rispondere. Sono un padre, vedo i miei familiari piangere e non so dar loro delle risposte. L’unico grazie lo devo ai carabinieri che ci aiutano e intervengono ogni volta. Il vicecomandante ormai ci conosce, ma più di così non possono fare”.
Valeria Pinoia