«Piazza Fontana, ferita aperta»Il racconto del figlio di una vittima

Tre anni fa, in occasione del quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana, il Cittadino di Monza e Brianza aveva pubblicato il racconto di Alessandro Perego, che nell'attentato del 12 dicembre 1969 aveva perso il padre. «Cos'è per me il 12 dicembre? Una ferita aperta. Ogni anno, spero passi in fretta».
«Piazza Fontana, ferita aperta»Il racconto del figlio di una vittima

Usmate Velate – «Cos’è per me il 12 dicembre? Una ferita aperta. Ogni anno, quando arriva questo giorno, spero passi in fretta perché sento un dolore immenso per la perdita di mio padre e un’amarezza infinita per l’impunità che da quarant’anni accompagna questa strage». La commozione nelle parole, le mani sul tavolo che non smettono di ricomporre ritagli di giornale ingialliti dal tempo, Alessandro Perego, 79 anni, dipana i ricordi che lo riportano al 1969, a quel venerdì di metà dicembre che si portò via il padre Carlo Perego, morto a 74 anni insieme con altre quindici persone nell’esplosione che sventrò il salone centrale della Banca nazionale dell’agricoltura.
Quel pomeriggio Carlo Perego non si trovava in piazza Fontana per un caso fortuito. Era un appuntamento fisso per lui, titolare di un’agenzia di assicurazioni con sede nel cuore di Milano che metteva capo a una delle principali compagnie italiane e che tra i suoi clienti contava molte aziende agricole.

«Ogni venerdì, dalle tre del pomeriggio fino alle cinque, l’atrio principale della banca si trasformava in una specie di mercato, dove si svolgevano trattative e affari legati al mondo agricolo – racconta Alessandro Perego, che affiancava il padre in agenzia – Per mio padre significava incontrare i clienti, portare le quietanze, gestire qui una parte del suo lavoro. Io lo accompagnavo sempre e rimanevo con lui anche all’interno della banca».
Anche venerdì 12 dicembre 1969 Carlo e Alessandro Perego raggiunsero piazza Fontana, e «seguendo l’invito di mio padre a tornare in ufficio perché lì in banca non c’erano molti clienti da seguire, alle 16.15 presi l’auto che avevo lasciato posteggiata in piazza Fontana e tornai all’agenzia », nei pressi di piazza Cadorna. Fu la sua salvezza. Nemmeno un’ora dopo, la telefonata che non avrebbe più scordato.
«Mi chiamò il direttore un’altra banca milanese, chiedendomi dove fosse mio padre e avvertendomi che c’era stata una grave esplosione, forse una caldaia», come diceva la primissima voce che si era diffusa in città. La corsa trafelata in piazza Fontana, il cordone delle forze dell’ordine, il fumo, le macerie, le ambulanze. E la consapevolezza che qualcosa di molto grave era accaduto.
«Andai subito all’obitorio di piazzale Gorini e lì ebbi la conferma che mio papà era tra i morti. Ci dissero poi che doveva essere seduto al bancone sotto il quale era sistemata la bomba – ricostruisce l’uomo – La mattina eravamo usciti di casa felici, come sempre. Mio padre era un uomo di 74 anni pieno di vita e di energia. E quella sera rientrai solo, con il dolore aggiunto di dover dare la notizia a casa. Fu terribile».

Poi vennero i funerali, quelli solenni in Duomo a Milano, e quelli più intimi, con il mesto corteo immortalato nei giornali che procede verso il cimitero di Usmate. Seguirono oltre tre decenni di storia giudiziaria, alla ricerca di verità e di responsabilità mai pienamente accertate. La famiglia Perego restò al limitare della soglia dei tribunali – «il nostro dolore rimase circoscritto alla sfera dei parenti più stretti» – mentre la strage di piazza Fontana assurgeva a simbolo della strategia della tensione, “creare disordine per preparare un ordine nuovo”. Un cerino dentro alla polveriera delle crescenti tensioni sociali che agitavano l’Italia dopo l’ubriacatura del boom economico. Oggi l’associazione dei famigliari delle vittime chiede di liberare dal segreto di Stato la documentazione raccolta in questi 40 anni e di riaprire la via giudiziaria. Il nipote, anch’egli Carlo, aveva appena un anno e mezzo quando il nonno morì: «Ho letto di tante tragedie che hanno insanguinato la storia del nostro Paese. Quando si tratta di piazza Fontana però, è una storia mia. Finché siamo in vita, noi famigliari non ci arrenderemo mai e continueremo a chiedere giustizia. E a ricordare, visto che la memoria è indispensabile perché la democrazia possa restare in eredità anche ai nostri figli».
Oggi, nei quarantennale della strage, sarà alla commemorazione in piazza Fontana. A giorni nascerà il suo secondo figlio. «Si chiamerà come me, la nostra famiglia avrà un futuro», dice, da nonno, Alessandro Perego, quasi esorcizzando i fantasmi di una morte innocente e assurda, ancora in attesa di verità.
Anna Prada

(*articolo pubblicato sul Cittadino di Monza e Brianza – ed. Vimercatese – del 12 dicembre 2009)