La presentazione del libro “Nato sul confine” di Fabrizio Gatti pubblicata sul Cittadino del 22 giugno 2023. È finalista al Premio letterario Brianza nella narrativa edita.
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“La forza dell’umanità non la si vede negli uomini, nei loro muscoli, nel loro coraggio. La forza dell’umanità la si vede in una madre che partorisce”. Il piccolo Mabruk nasce così, nella stiva di un barcone che sta affondando a poche miglia dalle coste italiane. Nessuno registrerà la sua nascita, l’11 ottobre 2013, ore 16.52. Minuti di gioia in cui la vita vince sulla morte e in molti hanno dimenticato di trovarsi su un barcone che inizia a imbarcare acqua.
Fabrizio Gatti, “Nato sul confine”: il piccolo siriano il cui nome significa “Auguri”
È lui, il piccolo siriano il cui nome significa “Auguri”, a raccontarci la storia di un viaggio della speranza, quella di centinaia di uomini, donne e bambini in fuga dalla Siria in guerra verso un futuro di pace. Lo fa da un luogo privilegiato, nella pancia della sua mamma, di cui sente parole, emozioni, paure.
La sua è la storia tragica passata alle cronache come il naufragio della “nave dei bambini”. È la cronaca vera a ispirare il nuovo romanzo del giornalista Fabrizio Gatti, pluripremiato e famoso per le sue inchieste sotto copertura per le quali è stato migrante nel deserto africano e su un barcone del mediterraneo, ma anche bracciante tra coloro che raccolgono i pomodori in Puglia sotto il caporalato. Ci sono anniversari alla base di questo suo ultimo romanzo: nel 2003 aveva avviato le ricerche per “Billal: viaggiare, lavorare, morire da clandestini”, reportage in cui ha iniziato a denunciare gli abusi e i soprusi sulle navi dei migranti.
Fabrizio Gatti, “Nato sul confine”: dieci anni fa il naufragio della “nave dei bambini”
Vent’anni dopo nulla è cambiato, dalle coste libiche si continua a partire e a morire. Mentre una guerra sconvolge l’Europa. Dieci anni fa, invece, siamo nell’ ottobre 2013, a sessanta miglia da Lampedusa, affonda un gommone, passato alle cronache come “La nave dei bambini”. Il peschereccio sovraccarico era stato attaccato da una milizia libica, imbarca acqua, si rovescia. Sul fondo del mare porta con sé 268 persone, di cui 60 bambini.
Una tragedia di cui forse i più si sono dimenticati, ma Gatti, ricorda, dà un nome e un cognome al padre e alla madre di Mabruk, lei farmacista, lui pediatra, una storia d’amore nata all’Università di Damasco. Fuggire dalla Siria non era nei loro piani, anzi loro volevano dare una mano nei luoghi dove le cure mediche erano più inaccessibili. Capiscono in fretta che il loro nome siriano è già un confine, segna il loro destino che nessun Paese vuole perché “se arrivi da un paese in guerra non sei più un turista, uno studente, un medico, un ingegnere, un operaio (…) una persona. Non sei più niente”.
Fabrizio Gatti, “Nato sul confine”: Mabruk ci interroga
Mabruk ci interroga, parla ai giovani, al mondo dei grandi, ci pone una domanda: “Noi, al posto dei suoi genitori, che cosa avremmo fatto?”. Nelle ultime pagine, quelle concitate dei soccorsi, o meglio quelle dei rimpalli, tra Italia e Malta, delle diplomazie in gioco, della non azione mentre una nave affonda, muove accuse precise. E la parola torna a Mabruk: “Ci sono volute quattro ore e mezzo per diramare un ordine che, dato in tempo, avrebbe richiesto solo 36 secondi per diventare operativo. Assurdo no? Mentre io per passare dal liquido amniotico del pancione della mia mamma all’acqua marina di madre terra ci ho messo soltanto quindici minuti”.