“Non ti pago” secondo #Stranoteatro

Secondo appuntamento con #Stranoteatro, le recensioni teatrali del Cittadino. Leonardo Strano ha visto “Non ti pago” della Compagnia di Luca De Filippo.
Monza: “Non ti pago”
Monza: “Non ti pago”

“Non ti pago” è per molti versi uno spettacolo sul lessico familiare. Ci informa su come comunica una famiglia, sul contratto sociale stretto involontariamente, sulla viabilità delle relazioni: quelle a senso unico, quelle a doppio senso e quelle che finiscono in un vicolo cieco. Ma pur essendo la storia di un preciso nucleo domestico, la sua conduzione familiare non si ferma alla concezione narrativa: scritto da Eduardo De Filippo, con la regia (postuma) di suo figlio Luca, è un oggetto che ben riproduce il dialogo fantasma tra un padre e un figlio, la sinergia filiale allo stato dell’arte che si esprime e si sublima attraverso la produzione di un artefatto teatrale.


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La sensazione di affiatamento nella costruzione, sia nel verso letterario, sia in quello registico, è forte e si traduce nel disegno di un’atmosfera accesa e precisa. Ne risulta un affresco di caricature goffamente barocche e una fulminea resa del quotidiano, quasi fosse un segreto documentario delle ansie sentimentali, pensato per recintare le eccentricità della commedia dell’arte in una immagine salda di teatro borghese, che guarda al difetto di ognuno insaporendolo di ironia acuta. Non è un gioco fine a se stesso, anzi, è il racconto di equilibristi che lo calcano sul filo del rasoio (o del riso) e che fanno avanti e indietro schivando la tragicità, schiaffeggiandola.

Il testo eduardiano sfodera un’invidiabile eleganza agé e scongiura a più riprese lo scivolone nel divertissement fine a se stesso grazie alle doti d’analisi e di scavo. Il confronto con il particolare umano, l’universale comportamentale e la polpa dei sentimenti ci racconta una dimensione “alla Totò” – fatta di turbini litigiosi, animi inorgogliti e schiamazzi passionali – che fotografa l’instabilità del vivere quotidiano anche solo suggerendo le voragini drammatiche nascoste sotto l’apparente simpatia degli ambienti: il sentimento triste e l’adattamento al danno quotidiano, lo sconforto della povertà e l’assurdità traboccante sono ombre nascoste negli angoli ignorati. Il sorriso del narratore è sghembo, la dialettalità irresistibile e l’umorismo controfirmato di nervosismo borghese e farfuglio, senza perdere (quasi mai) il tempismo comico necessario per catturare, in un fazzoletto di senso, l’applauso a scena aperta. L’eroina è la dignità, quella qualità cavata fuori dalla disperazione che sa rileggere la malinconia in riso e il riso in una parentesi di salvezza dentro cui lanciarsi a capofitto.

La regia, a colpo d’occhio latente sotto una scenografia morbida, non sgomita in cerca di sorprese stilistiche. Invece fa da rigido contrappunto alla frenesia del gruppo in scena e recupera il criticismo di quella del padre, valorizzando gli aspetti insignificanti – movenze, gesticolazioni, cambi di tono, versi – a elemento di caratterizzazione fondamentale e l’attaccamento alla nitidezza del gergo come chiave per il realismo familiare. L’incastro è eccellente: un’opera che racconta l’epico atto di tirar fuori combine, quaterne e somme felici da numeri avversi, l’arte di far quadrare le cose dispari e di azzerare le disparità con i numeri pari. Sorridere, d’altronde, è la virtù dell’equilibrio / una virtù da equilibristi.

Non ti pago
Regia di Luca De Filippo
Produzione Compagnia di Teatro di Luca De Filippo