Tutto ha avuto inizio con una bicicletta e due cestini colmi di cappelli. Quelli che Gabriele Vimercati produceva e vendeva nelle piazze della città. Classe 1910, aveva iniziato come garzone nei più grandi cappellifici di Monza, aveva imparato così l’arte dei cappellai e nel 1953 aveva deciso di mettersi in proprio e aprire, con il fratello Giulio, il suo laboratorio.
Prima in via San Gottardo, poi in via Macallé, lungo le sponde del canale Villoresi. A continuare l’impresa di famiglia ci hanno pensato i figli Giorgio, Marco ,Giuseppe, ma da qualche anno si sono aggiunti i nipoti Fabrizio, Elisa e Roberto. Sono loro gli ultimi cappellai di Monza, eredi di un’arte che negli anni d’oro occupava in città 12 mila addetti e sfornava fino a 2 milioni di pezzi all’anno.
Monza era la “Capitale del cappello”, la prima città italiana in cui l’Unione Lavoranti cappellai siglò, nel 1902, il primo contratto collettivo di lavoro e fu la sede della Federazione Italiana e Internazionale dei cappellai. «È un onore portare avanti una tradizione così importante- commenta Federico, 37 anni e una laurea in marketing che vuole far fruttare per innovare l’azienda di famiglia- peccato che Monza non valorizzi questa parte del suo passato».
In via Macallé le vecchie macchine del cappello convivono con le tecnologie “social”. «Abbiamo sempre lavorato per conto terzi- spiega Fabrizio- ma ora siamo pronti per lanciare il nostro marchio. Abbiamo già una pagina facebook, tra qualche giorno inauguriamo il sito».
Il nuovo logo è “Vimercati hats. 1953” e l’idea è di aggiungere anche made in Monza per ricordare la storia della città. Il sogno? «Mi piacerebbe che il primo cappello con il nuovo logo fosse un cappello bianco da donare a Papa Francesco in occasione della sua visita a Monza – prosegue Fabrizio- scriverò in Vaticano per capire se sarà possibile».
I tempi per realizzare questo desiderio sono però strettissimi: per realizzare un cappello a mano ci vogliono venti giorni compresi i giorni di riposo in cantina per mantenere la morbidezza del feltro. Nei tempi d’oro in via Macallé nascevano 70mila cappelli all’anno, oggi sono 15mila, tutti di alta gamma per battere la concorrenza cinese.
«I nostri clienti più importanti sono i rabbini di Israele – proseguono i cappellai di Monza – produciamo almeno 7mila pezzi solo per loro. Poi ci sono cappelli da cerimonia, quelli degli scout francesi, quelli tirolesi, il fedora, le bombette o i Borsalino che stanno tornando tanto di moda». La produzione avviene “a caldo”, esattamente come all’inizio del Novecento: «Si parte dalla “cappellina” in feltro di lana -spiega Fabrizio- si passa alla pressa per darle la forma e lo spessore desiderato, quindi c’è l’informatrice, il batti-ali, la sabbieuse e il ferro da stiro per rifinire l’ala».
Il segreto per un cappello estremamente morbido al tatto è la rasatura che occupa un’intera stanza del laboratorio. Negli spazi più luminosi c’è chi taglia la seta per le fodere interne che vengono marchiate con la foglia d’oro, Elisa e due lavoranti sono invece alle macchine da cucire per le finiture: serve ribattere l’ala, inserire la fodera e il marocchino. Solo ora il cappello è pronto per essere indossato.