Un nome, nella sterminata mole di documenti agli atti dell’inchiesta “Domus Aurea”. E non uno qualsiasi. Il nome per eccellenza di questi giorni. Quello del professor Giuseppe Conte, neo presidente del Consiglio dei ministri. È bene precisarlo: il nuovo premier non è in alcun modo coinvolto nell’inchiesta che ha portato la procura di Monza ad arrestare oltre 20 persone (tra cui molti monzesi) per bancarotta e reati fiscali, e a sancire probabilmente la fine dell’impero societario di Giuseppe Malaspina, uno dei più grossi costruttori della Brianza.
Conte, quale docente ordinario di diritto privato presso l’Università di Firenze, compare soltanto come professionista del diritto, chiamato ad esprimere un parere ‘pro veritate’ in merito ad una questione giuridica molto complessa: quella relativa al sequestro delle quote dell’hotel Ca’ Sagredo di Venezia. Un hotel di lusso, con tanto di affreschi del Tintoretto sulle pareti, finito nella disponibilità del patrimonio immobiliare delle imprese di Malaspina. Vicenda, quella del sequestro, che parte nel 2016, e che è stata sancita definitivamente dalla Cassazione qualche mese fa, a favore della procura.
Secondo la tesi dei pm Salvatore Bellomo e Giulia Rizzo, il passaggio di proprietà delle quote tra le società di Malaspina e quelle del gruppo Marseglia, altro colosso imprenditoriale pugliese, in realtà rappresentava un tentativo mascherato di sottrarre il patrimonio alle pretese dei creditori. Prospettazione che poi rappresenta il cuore dell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza di via Manzoni, ossia il presunto tentativo, da parte di Malaspina e di una galassia di personaggi a lui vicini (impiegate, avvocati, geometri, architetti, ingegneri) di lasciare soltanto i debiti e trasferire i patrimoni delle cosiddette ‘società cassaforte’. Così sarebbe successo anche nel caso del prestigioso hotel veneziano. Già nel maggio 2017, il gip Federica Centonze, scriveva che il “bene”, ossia Ca’ Sagredo, attraverso varie “operazioni di cessione”, è stato sottratto alla “par condicio degli altri concorrenti”, e che “il reale interesse di Italiana investimenti e partecipazioni (società del gruppo Marsegalia appunto ndr), non fosse l’effettivo risanamento delle società acquisite quanto la definitiva apprensione del compendio immobiliare”.
Su questa questione, in particolare sull’interpretazione di una clausola risolutiva inserita nel contratto, è stato chiesto quindi da parte del gruppo Marseglia un “parere pro veritate” al professor Conte, che però non è bastato a convincere il gip di Monza della bontà dell’operazione. Sull’aspetto della presunta “connivenza” tra Marseglia e Malaspina, sono in corso attualmente le indagini della procura di Monza, mentre alcuni degli indagati dell’operazione Domus Aurea si sono rivolti al tribunale del Riesame.