Un impero del falso. E’ c’è da giurare che ci siano “cascati” anche tanti acquirenti brianzoli tra i 1.172 individuati che avrebbero acquistato on line calzature di noti marchi come originali mentre erano completamente false (ma ben fatte).
Era un 23enne milanese disabile motorio la mente del gruppo che aveva creato un sito ad hoc e due pagine sui social network. Nei giorni scorsi è finito in carcere. Nei suoi confronti la Polizia di Stato, al termine di una operazione chiamata “Fake shoes”, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare. Un’altra ha riguardato un 22enne (agli arresti domiciliari) e un coetaneo (obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria). A tutti è stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata all’introduzione nel territorio dello Stato di prodotti con marchi contraffatti, truffa, ricettazione, indebito utilizzo di carte di pagamento intestate a terzi e autoriciclaggio. Indagati anche altri quattro ragazzi sempre tra i 22 e 23 anni.
L’indagine è partita a gennaio dopo una denuncia presentata presso il Commissariato Greco Turro di Milano: un giovane ha messo in dubbio la condotta di un coetaneo che aveva chiesto a lui e ad alcuni amici di attivare carte Postepay e di intestarsi utenze telefoniche salvo accorgersi che sui conti relativi alle carte erano transitate elevate somme di denaro. Nel frattempo sono state presentate altre due denunce simili al Compartimento Polizia Postale di Milano. E’ stata quindi avviata un’indagine congiunta, sotto la direzione della Procura milanese che ha permesso di identificare i vertici dell’organizzazione e di rinvenire, a seguito di perquisizione, 23 carte di pagamento, 3 personal computer e 17 apparecchi cellulari, un paio di sneakers ancora imballate e numerosi appunti relativi alla gestione di attività di commercializzazione di calzature sportive.
Dalle indagini successive – comprensive di analisi di conti correnti, apparecchi cellulari – è emerso il commercio di calzature. Sono stati anche scoperti numerosi conti correnti dove venivano fatti confluire i proventi illeciti, da reimpiegare nella medesima attività imprenditoriale o da investire in cripto-valute. L’attività di commercializzazione ha portato il gruppo a fatturare, per il solo 2020, una cifra che si aggira intorno ai 300mila euro, con utili stimati in 117mila euro.
Tutti i sodali avevano incarichi e ruoli ben precisi, una retribuzione mensile e il gruppo aveva studiato specifici sistemi di sicurezza per eliminare ogni traccia dell’attività illecita.
Nonostante la disabilità, il 23enne ritenuto il “capo” del gruppo è comunque stato ristretto in carcere in quanto, secondo il Gip: «L’estrema scaltrezza dell’indagato nell’avvalersi di strumenti informatici rende evidente e concreto l’elemento dell’attualità del pericolo da cui si evince l’alta probabilità del determinarsi di occasioni favorevoli alla commissione di nuovi reati. Appare evidente che anche il controllo elettronico presso l’abitazione non costituirebbe alcun ostacolo alla capacità criminale informatica».