Stefano Borgonovo oggi avrebbe 59 anni e magari sarebbe ancora sui campi da calcio ad allenare le formazioni giovanili e a trasmettere ai più giovani il suo viscerale amore per il pallone. Amore che gli ha permesso di vestire le maglie di Como, Sambenedettese, Fiorentina, Milan, Pescara, Udinese e Brescia e di giocare per la nazionale italiana. Sono trascorsi 10 anni dal 27 giugno 2013, giorno in cui la sclerosi laterale amiotrofica spense definitivamente il suo sorriso. Borgonovo, nato a Giussano il 17 marzo del 1964, è morto all’età di 49 anni per colpa di quella “stronza”, come era solito chiamarla, dopo anni di sofferenza e di battaglie, in cui si spese in prima persona per raccogliere fondi per la ricerca scientifica contro la Sla, dando vita a un movimento di sensibilizzazione unico e primo nel suo genere, anche tramite la Fondazione Stefano Borgonovo Onlus, da lui stesso voluta nel 2008.
Borgonovo: i riflettori accesi sulla sclerosi laterale amiotrofica

«Sono passati 10 anni. Il tempo è volato, ma il vuoto che ha lasciato continua a rimanere immenso. Così come continua a rimanere accesa la speranza di riuscire finalmente a trovare una cura contro la Sla, una malattia subdola e aggressiva, su cui Stefano ha acceso i riflettori come mai nessuno aveva fatto prima. Riflettori che, però, il mondo del calcio continua a tenere spenti, nonostante siano diversi i calciatori deceduti per questa malattia». A un decennio dalla sua scomparsa, Chantal Guigard, moglie di Stefano Borgonovo, è al lavoro per far ripartire a pieno regime l’attività della Fondazione Stefano Borgonovo Onlus, rallentata negli ultimi anni a causa della pandemia di Covid-19.
Borgonovo: il decennale “dimenticato” dal suo mondo

«Ripartiremo con le iniziative per raccogliere fondi per la ricerca. Nessuno si merita di dover combattere contro una malattia come la Sla. Stefano, per primo, non se lo meritava. Mi dispiace anche che a 10 anni dalla sua scomparsa, nessuna istituzione calcistica abbia pensato di organizzare un momento in suo ricordo». «È un’occasione persa -ha aggiunto- sia per ricordare la sua grande carriera come calciatore, sia per parlare di Sla. Ma anche per far conoscere alle nuove generazioni la figura di Stefano. Sarebbe stato giusto anche per lui che il suo mondo, quello del calcio, lo ricordasse. Sarebbe bastato poco, anche solo un torneo di calcio in sua memoria o una serata di sensibilizzazione, ma nessuno ha organizzato nulla. Credo che Stefano sia stato un bell’esempio e varrebbe la pena ricordarlo. Io, ora come ora, non me la sono sentita e non me la sento di organizzare un evento pubblico. Lo ricorderò in famiglia, con i suoi figli che in questi 10 anni sono diventati adulti. Stefano sicuramente sarebbe fiero di loro e di come sono cresciuti», ha concluso.