Conferenza stampa a Palazzo Lombardia lunedì pomeriggio per presentare il primo studio italiano, coordinato dal San Matteo di Pavia, che ha verificato la presenza di virus infettante a bassa carica, in tamponi nasali effettuati su pazienti clinicamente guariti: «I pazienti “debolmente positivi” al coronavirus non infettano».
Lo studio è stato presentato dal responsabile di virologia Fausto Baldanti, all’incontro con i giornalisti hanno partecipato anche il presidente della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia, Alessandro Venturi e il professor Giuseppe Remuzzi dell’IRCCS Istituto Mario Negri..
Il professor Baldanti ha spiegato che l’indagine è stata effettuata in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, l’ospedale civile di Piacenza, l’ospedale universitario ’Le Scotte’ di Siena e l’IRCCS Policlinico di Milano.
«In base a una ricerca eseguita su 280 soggetti guariti da Coronavirus è stato riscontrato che avevano ‘cariche’ basse – ha spiegato il virologo – più è alto il numero di Cycle threshold (Ct, in termini scientifici il ‘ciclo-soglia’), più è basso il Rna – Ribonucleic acid, cioè l’acido ribonucleico. Su 280 pazienti analizzati, il segnale di sopravvivenza del virus è meno del 3 per cento. Ossia, 8 soggetti».
E poi: «Adesso siamo in una fase in cui molte persone hanno superato l’infezione, sanno di essere state positive e hanno scoperto di essere state colpite da Covid attraverso test sierologici. La domanda che possiamo farci è: se siamo clinicamente guariti e la sintomatologia è scomparsa che significato ha la positività del tampone? La risposta è che molti soggetti hanno una bassa carica di RNA virale. Le indagini molecolari sono costruite in modo da identificare una porzione del genoma (cioè del codice genetico del virus): se si identifica questa porzione, non è detto che il genoma sia integro ossia infettante, oppure frazionato».
«Lo studio molecolare che presentiamo – ha dichiarato Alessandro Venturi – fa parte del grande lavoro svolto dai grandi ospedali di ricerca della Regione e necessita una contestualizzazione. La Lombardia ha assistito a un coinvolgimento ospedaliero massivo e condiviso, che non ha uguali sul territorio nazionale. I pazienti che stavano in ospedale non potevano stare da nessun’altra parte: questo dobbiamo affermarlo una volta per tutte. La moltiplicazione dei posti letto e delle terapie intensive è dovuta quindi al fatto che essi non potevano stare altrove. Per quanto riguarda l’aspetto epidemiologico, la Lombardia ha adottato lo strumento della quarantena obbligatoria e fiduciaria».
«Il ’tamponamento a tappeto’ di cui sentiamo parlare da tempo – ha detto ancora – in quel momento era impraticabile. Mentre era praticabile la quarantena anche senza avere effettuato il tampone molecolare. La bontà della scelta è stata confermata dai dati sierologici che hanno accertato che la Lombardia ha messo in quarantena il doppio delle persone che hanno poi evidenziato la malattia».
Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha sottolineato che «diventa fondamentale quantificare la positività. Dire positivo non basta più. Si parla di tamponi positivi che hanno una carica virale molto bassa, ed è molto difficile che pazienti con questo tipo di tamponi possano contagiare altre persone. Dobbiamo dirlo perchè le persone quando sentono parlare del numero dei contagi in Lombardia, devono sapere che si fa riferimento a tamponi positivi con una carica virale che può anche non essere contagiosa».
«Abbiamo chiesto ufficialmente all’Istituto Superiore di Sanità di introdurre una netta distinzione dei casi ”debolmente positivi” al Coronavirus rispetto agli altri, in base alle nuove rilevazioni effettuate dalla comunità scientifica», ha detto l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, commentando lo studio elaborato dal professor Baldanti.