Muro contro muro, o meglio: silenzio contro silenzio, apparentemente. Il risultato è che la Villa reale di Monza è in scacco totale e non si sa quando davvero riaprirà. Il naufragio del progetto di gestione nato negli anni dieci del Duemila? Non si sa: le parti politiche, quelle che a questo punto della vicenda, possono dirlo, per ora non parlano.
Sta di fatto che i cancelli della corte d’onore rimangono chiusi al pubblico. Al pubblico, appunto, ma non agli eventi privati, come è successo lo scorso weekend, quanto attorno alla fontana e sotto le scale di ingresso campeggiava una rosa di auto di lusso portate tra le ali della Villa per una iniziativa a porte chiuse e a pagamento.
Lo strano caso della Villa reale di Monza continua, insomma, a un mese e mezzo dalla riapertura degli spazi museali italiani. Con due piccole eccezioni: gli appartamenti reali del primo piano nobile nell’ala sud, gestiti dal Consorzio, e per l’attività ristorativa, raggiungibile però dai giardini e non dalla corte d’onore, tranne nel weekend: la famiglia Cerea, quella dello stellato Michelin “Da Vittorio”, che il concessionario ha portato alla Reggia nei mesi scorsi. Il resto non sembra debba riaprire, per ora. Lo conferma lo stesso presidente di Nuova Villa reale spa, Attilio Navarra, che alla domanda su una qualsiasi ipotesi di apertura, non offre – per ora – date.
«Dal 2 giugno non ho più avuto rapporti con il Consorzio: un totale black out. E quindi non abbiamo ancora un protocollo Covid per la riapertura, che definisca flussi in entrata, l’utilizzo dei bagni da parte del pubblico. Noi la richiesta l’abbiamo fatta tre volte. Perché non è ancora stato fatto? Bisognerebbe chiederlo al consorzio». Consorzio che, invece, nega l’interruzione dei rapporti: «A dimostrarlo ci sono le mail e la posta certificata in entrata e in uscita – spiega il direttore generale Piero Addis – Ha avuto contatti con i nostri uffici, so che ha parlato come ovvio con il presidente del Consorzio, cioè il presidente Dario Allevi». E se Navarra insiste sul fatto che «il protocollo Covid lo prevede il Dpcm, non certo noi, perché dobbiamo garantire la sicurezza dei lavoratori e del pubblico», la direzione del Consorzio ribadisce che c’è tutta la disponibilità per organizzare la riapertura.
Il punto è: il privato vuole riaprire? Sullo sfondo c’è il contenzioso aperto lo scorso dicembre con una lettera di Nuova Villa reale spa – un atto di recesso dalla concessione – con la richiesta di 8 milioni di euro di mancati introiti per restituire le chiavi.
A gennaio la questione è finita nelle mani di un tavolo tecnico gestito dall’avvocatura regionale, che ha aperto il confronto con i tecnici del concessionario. Il contratto di concessione prevede delle clausole di uscita ed è in corso di valutazione se e quanto è giusto dare al privato. Una data per arrivare a un accordo, si viene a sapere da palazzo Lombardia, per il momento non c’è.
Così come non c’è una data per la possibile riapertura della Villa reale e delle mostre che contiene (o conteneva, dal momento che quella dedicata al Giappone è teoricamente finita). «L’apertura non dipende dall’accordo, comunque: si può fare lo stesso, anche perché non si sa quanto tempo ci vorrà» aggiunge Addis. Il che significa: la Villa reale potrebbe rimanere chiusa a tempo indefinito.
E gli eventi privati? «Noi facciamo quello che possiamo senza correre rischi per la salute – risponde Attilio Navarra – In quei casi possiamo controllare gli afflussi ai bagni, per esempio, un problema che abbiamo da tempo. Se pesa il contenzioso? Non penso: la situazione è influenzata dal fatto che non riusciamo a vederci. Forse frena la possibilità di incontri diretti». Così per Navarra, ma su altri fronti sembra che sia proprio la partita legale il punto di non ritorno: di fatto un bene pubblico, al momento, è tenuto da un privato come prevede la concessione.
Il sospetto – ma di questo si tratta – è che i tecnici non possono fare nulla: è la parte politica (presidenza del Consorzio, Regione, ministero) a poter sbloccare lo stallo della Reggia. E l’impressione è poi che azioni più forti (per esempio rivendicare legalmente quelle aperture per almeno sei giorni alla settimana previste dal contratto) da parte del Consorzio non saranno prese per evitare di arrivare alla guerra aperta tra pubblico e privato.