Per problemi burocratici è ferma al palo un’importante cura contro la leucemia infantile. La denuncia arriva Andrea Biondi, direttore della Clinica pediatrica della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma dell’ospedale San Gerardo.
Il progetto ha un nome evocativo e bellissimo: Childhope. La speranza dei bambini. E’ la nuova strada per combattere le leucemie, è stata messa a punto a Monza dal Centro di ricerca Tettamanti, capofila di un gruppo europeo. Peccato che, mentre in Inghilterra, Francia e Germania la nuova terapia è già somministrata con successo ai piccoli pazienti, in Italia una serie di paletti burocratici hanno arenato il progetto.
La Comunità europea aveva finanziato con 5 milioni di euro e il progetto parte coinvolgendo 10 centri europei con Monza capofila.“AIn cinque anni di lavoro, abbiamo dimostrato -dice Biondi – come sia possibile manipolare i linfociti rendendoli delle vere e proprie frecce in grado di uccidere con grande efficacia le cellule tumorali e di stimolare la risposta immunitaria contro di esse”. Coinvolti nello studio l’University College di Londra con l’ospedale pediatrico Great Ormond, l’ospedale pediatrico di Muenster in Germania, due centri di ricerca francesi a Lione e Grenoble. Nel 2011 parte la sperimentazione clinica all’estero e nel dicembre del 2012 una bambina negli Stati Uniti è guarita grazie alle cellule immunitarie riprogrammate.
In Italia perchè si è fermato tutto?
“Abbiamo ricevuto dall’agenzia italiana del farmaco una lettera in cui si comunica che non è possibile validare la cura in quanto il proponente non è in possesso della certificazione GMP (Good manufacturing product). Il problema è che il farmaco è prodotto in Francia che è l’unico Paese che non distingue tra i centri accademici e le strutture con certificazione come la nostra cell factory (il laboratorio Verri, al San Gerardo di Monza), una delle 13 autorizzate da Aifa”.
Come hanno superato il problema Inghilterra, Francia e Germania?
“Semplicemente le loro agenzie si sono mosse per andare a verificare sul posto che il centro di produzione francese avesse tutti i requisiti di sicurezza richiesti. Per carità, sono il primo a dire che in questo campo ci vuole rigore, ma se c’è una strada per superare gli ostacoli bisogna prenderla senza perdite di tempo”.
Ora che farete?
“In questo momento sono in attesa di essere convocato dall’Agenzia Italiana del Farmaco e spero proprio di non dover mai inviare un nostro bambino in Germania per seguire la cura”.