La ’ndrangheta si mangia tutto (ma la Brianza fatica a crederci)

L’Osservatorio Cross guidato da Dalla Chiesa ha sondato “l’antimafia” in Lombardia. Per le infiltrazioni le Srl sono le più a rischio «ma anche i colossi della grande distribuzione sono in pericolo».
Nando Dalla Chiesa
Nando Dalla Chiesa

L’istogramma del grafico è lì da vedere: azzurro chiaro, insieme a quello di Varese il più basso di tutti. Un segnale inequivocabile che in Brianza contro la mafia ci si impegna ancora poco. Ciò nonostante la «massiccia presenza», la «colonizzazione«, «l’infiltrazione». Definizioni, queste ultime, che negli anni sono ormai entrate in qualsiasi indagine, relazione o report che parli di criminalità organizzata nella nostra provincia.

È quanto emerge dal terzo monitoraggio dell’antimafia in Lombardia a cura dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli Studi di Milano, diretto da Fernando Dalla Chiesa (nella foto), in collaborazione con Polis Lombardia. Un’indagine che ha spaziato in quattro “quadri”: educazione e formazione; istituzioni, politica e associazioni; ambito economico, sindacale e delle professioni e infine arte e comunicazione per studiare “la diffusione e le caratteristiche dell’impegno antimafia” in Lombardia a fronte della «aggressione che le organizzazioni mafiose, e segnatamente la ‘ndrangheta, stanno conducendo nei confronti della società, dell’economia e delle istituzioni nonché delle comunità lombarde».

Di passi, dopo l’inchiesta Infinito, ne sono stati fatti: la legge regionale 17/2015 inerente interventi di prevenzione e contrasto, l’istituzione dei Cpl, Centri di promozione della legalità, uno per provincia, con una massiccia adesione delle scuole, 115 a Monza e Brianza, un record («anche se non tutte – dice la relazione Cross – sono attive»). Tra le iniziative locali richiamate c’è il progetto realizzato nella provincia per il contrasto al gioco d’azzardo a partire dalle scuole. E poi corsi di formazione per docenti sulla legalità e laboratori didattici. E ancora la “Marcia per la legalità” al Parco di Monza.

Passando a politica, istituzioni e associazioni, l’impegno sociale antimafia su una scala da 1 (più elevato) a 5 (minimo), in provincia, secondo quanto appurato dal monitoraggio, si ferma a 3 a fronte di un indice di presenza mafiosa che, con Milano, è al massimo. Elogiato il ruolo delle prefetture («in prima linea») e dello strumento delle interdittive antimafia con i prefetti che hanno sempre più: «un ruolo di riferimento e coordinamento nel contrasto alla criminalità». Un neo è rappresentato dai beni confiscati, tantissimi per numero ma ancora con problemi di riutilizzo. In Brianza citata la Provincia che: «ha adottato misure più specifiche per quanto riguarda la lotta alla corruzione e all’illegalità negli appalti pubblici» con una particolare attenzione per i fatti corruttivi all’interno dell’amministrazione locale, «dimostrata dalla formazione obbligatoria rivolta a tutti i dipendenti avente ad oggetto la disciplina generale dei principi etici». Tuttavia, dalle parole di un funzionario della Segreteria generale, emerge che «nonostante la possibilità dei cittadini di rivolgersi al Comune per denunciare pressioni mafiose, non c’è mai stato un riscontro da nessuno, quindi l’allarme sociale è basso».

In ambito economico/sindacale e delle professioni il monitoraggio rivela una circostanza che dà da pensare: «tra i protagonisti del mondo economico contattati “per competenza” meno del cinquanta per cento si è reso disponibile a svolgere un’intervista» inerente la ricerca. I sindacati restano un baluardo dell’antimafia ma emerge una «crisi di rappresentanza», mentre le «organizzazioni criminali, grazie anche all’enorme disponibilità di liquidità di provenienza illecita, “fidelizzano i lavoratori” garantendo nell’immediato vantaggi che un’impresa operante nella legalità non potrebbe offrire, quali, ad esempio, il pagamento degli straordinari in nero». Tuttavia, rivestono un grande ruolo nella “emersione alla legalità” delle aziende confiscate permettendo la salvaguardia dei posti di lavoro. Hanno invece dato pochi risultati altri strumenti promossi da associazioni di categoria per i loro associati per far emergere estorsioni e usura.

Tra le aziende, le srl sono le più soggette alle mire della criminalità (il 78% delle confiscate) ma in “pericolo” risultano anche i colossi della grande distribuzione dove le mafie cercano di infiltrarsi in appalti di facchinaggio, logistica e pulizie. Ciò nonostante, dice la ricerca: «l’attenzione verso i temi della legalità e del contrasto delle infiltrazioni mafiose appare decisamente limitata, e le poche iniziative promosse si caratterizzano per essere prevalentemente rivolte a destinatari esterni all’impresa».