La forza della semplicità, come stile quotidiano nelle relazioni con gli altri, da Limbiate alla Farnesina, dall’oratorio San Giorgio all’ambasciata, da Berna al Congo. La forza unica dell’essere semplici, in una vita che ormai da molti anni niente più aveva di lontanamente ordinario. Questo era Luca. Questo è Luca.
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“Atta”, un cittadino del mondo, anche quando la sua vita era ancora casa, famiglia, studio, oratorio e paese. Perché ha sempre avuto la capacità di guardare oltre, anche di vedere cose che altri non erano in grado di scorgere nell’immediato, forse perché meno cittadini del mondo di lui, forse perché la sua energia positiva e la sua intelligenza erano senza dubbio doti uniche e si sono espresse per prime proprio nella sua città e nella sua comunità. Per la sua città e per la sua comunità. Quel forte legame con le sue origini, che è stato capace di coltivare in ogni momento. Dagli amici ai semplici conoscenti, dalle persone con disabilità ai ragazzi seguiti come educatore, per arrivare a tanti missionari incontrati e sostenuti. Una capacità di alimentare i legami, con la sua intraprendenza, con la sua spontaneità, anche nel contatto fisico, in quegli abbracci così decisi e generosi che in queste ore sono, così assurdamente insieme, un macigno quasi insopportabile e un ricordo che dà forza.
Questa, del resto, era l’unica sua forma di protagonismo: l’esserci, per e con gli altri, vulcanico e generoso. Costruiva sempre, Luca: una conoscenza, un’amicizia, un’idea, un progetto. E di questo suo tessere continuo ne era sì, inevitabilmente, protagonista ma con la capacità di restare comunque un passo indietro, perché questa è la lungimiranza di chi sa che un progetto ha ancor più fondamento se condiviso, se percorso insieme.
“Atta” ha continuato a tessere legami, relazioni, anche in ogni luogo della sua carriera diplomatica, nuova vita che ha amplificato la sua voglia innata di aiutare gli altri. E ogni luogo lo ha fatto suo, perché sua era l’Africa. Non per dovere, o almeno non solo per dovere (perché il senso delle istituzioni, le responsabilità che aveva nel suo ruolo comunque le ha sempre avute ben chiare, chiarissime), ma per passione, per missione è andato oltre. Infondo, tutti noi abbiamo sempre considerato la sua come una vocazione agli altri, laica certo, ma tenacemente alimentata da una fede vissuta, praticata, mai nascosta. La sua enorme gioia di vivere aveva radici anche in questo.
Non ci siamo stupiti della sua brillante e veloce carriera diplomatica, perché conoscevamo le sue potenzialità. Ma non lo abbiamo mai considerato come uno degli ambasciatori più giovani del mondo, fino a quando la cronaca di questi giorni ce lo ha sbattuto prepotentemente in faccia. Per noi era Luca, perché lui, per primo, è rimasto sempre Luca. Quello che avrebbe potuto fare ogni cosa, perché tanto ci riusciva. Quello visionario, nel senso più alto del termine. Quello che mai dava giudizi o alzava la voce.
Quello che nel confronto con gli altri vedeva sempre un’occasione di crescita. Quello elegante, di quella delicata eleganza d’animo ancor prima che esteriore (comunque sempre evidente, persino nella gestualità). Luca, giramondo, con tante cose da raccontarti per primo al suo rientro. Invece ti vedeva, ti veniva incontro, ti stringeva le mani e ti chiedeva, con un sorriso che usciva anche dagli occhi. “Come stai? Raccontami”. Era quello che sapevi felice, per ciò che faceva e ora anche per la splendida famiglia che aveva, con una moglie che più anima gemella di così sarebbe stato impossibile. L’Africa per lui non era una destinazione, era una scelta: era una casa, la sua casa e il Congo la sua nuova comunità. Che ha unito alla nostra, per sempre. Anche con questo dolore così forte.