La “mamma” degli orfanelli compie 90 anni e culla il sogno di un nuovo incontro

Alla vigilia dell'importanza ricorrenza, Itala Rovelli, che oggi risiede a Cesano Maderno, confessa il desiderio di rivedere un bambino conosciuto più di mezzo secolo fa
Il gruppo di ospiti dell’istituto San Giuseppe a Campoè negli anni sessanta. Al centro, si riconosce dom Francesco Colzani, monaco olivetano

Quando le domandi qual è il regalo che vorrebbe ricevere per il suo novantesimo compleanno, risponde senza esitare: «Mi piacerebbe incontrare di nuovo Giuseppe Gallo, che dovrebbe avere più di 70 anni. La prima volta che ci siamo visti eravamo nel dormitorio. Mi disse che non aveva i genitori e si autodefiniva figlio di nessuno. In quella circostanza ed in seguito, mi chiese a ripetizione di adottarlo, ma non ero ancora sposata ed all’epoca per le donne single non c’era questa possibilità. Quando effettivamente mi sposai, lui aveva già 18 anni e partecipò al mio matrimonio, regalandomi un servizio di posate che conservo ancora. Poi ha vissuto un’esperienza nella marina militare, ma dopo non ho saputo più nulla di lui». Itala Rovelli, storica figura di riferimento dell’istituto San Giuseppe di Seregno, l’orfanotrofio maschile aperto all’indomani del terremoto di Messina nel 1908 e chiuso nel 1970, di cui negli anni sessanta è stata insostituibile collaboratrice, delinea così, nella sua abitazione di Cesano Maderno, dove risiede, la sua marcia di avvicinamento al suo novantesimo compleanno, ricorrenza che cadrà venerdì 19 agosto. Un’occasione per tornare con la memoria al periodo vissuto insieme a quelli che, a Seregno, sono tuttora chiamati orfanelli.

Istituto San Giuseppe: il dettaglio di un’esperienza di vita

Itala Rovelli giovane a cavallo

«Ho lavorato in istituto per una decina di anni -racconta-, facendo davvero di tutto. E mi è piaciuto molto. Ogni giorno ce n’era una nuova. Ho conosciuto sia i monaci olivetani che le suore stabilite nella carità. Tra i monaci, dom Ugo Cocchi era un personaggio unico. Era molto intelligente, tanto che aveva imparato da autodidatta il cinese, ma era anche molto disordinato. Aveva l’abitudine di spezzettare il giornale dopo averlo letto, buttando la carta sul pavimento. La donna delle pulizie era esasperata: provai io per un mese a sostituirmi a lei, ma senza risultato». Rovelli, convolata a nozze nel 1967 con Francesco Borrelli, santagatese salito in Brianza alla ricerca di un’occupazione stabile, continua nel suo flashback: «Avevamo a che fare con ottanta bambini, tra piccoli, mezzani e grandi. Oltre a Giuseppe Gallo, ricordo con piacere Franco Sala, che è stato vittima della prima ondata di Covid, Luciano Marzorati di Seveso, chiamato Calimero, i fratelli Santambrogio del Lazzaretto e poi Raffaele Brugora e Pierino Mastrandrea, che ancora mi vengono a trovare. Abbiamo condiviso tanti momenti belli, soprattutto in estate nella casa vacanze di Campoè, a Caglio, messa a disposizione dell’istituto da Umberto Trabattoni».

Istituto San Giuseppe: il ricordo di Raffaele Brugora

L’ultimo gruppo di ospiti dell’istituto San Giuseppe, prima della chiusura nel 1970

Commosso è il contributo di Raffaele Brugora: «Sono stato presidente dell’associazione degli ex orfanelli, che ormai ha cessato la sua attività. Ha pesato molto la scomparsa di dom Luigi Donegà, che per noi era fondamentale. Tra i monaci, una citazione la merita dom Egidio Mariani, un orfanello: la madre lo portò in istituto perché non avevano da mangiare e lui vi rimase tutta la vita». Per informazioni su Giuseppe Gallo, scrivere a p.colzani@ilcittadinomb.it.