«La bellezza non salverà proprio nulla, se noi non salveremo la bellezza». Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte dal curriculum internazionale, tiene a battesimo la neonata associazione culturale monzese Zefiro con una lectio magistralis dedicata alle responsabilità dell’uomo di oggi di fronte al futuro.
Lo ha fatto martedì sera, 5 ottobre, nell’aula magna del liceo classico Zucchi di Monza, di fronte a una platea attenta a cui, di colpo, sembra di ritrovarsi in università. Il vento di cultura che Zefiro, presieduta da Fabio Resnati, inizia a far spirare in città, si intensifica grazie alle citazioni e dei richiami del professor Settis, che spaziano da Ippocrate a Platone, che toccano il diritto romano, che chiamano in causa Nietzsche e Dostoevskij e che ripercorrono il pensiero di filosofi contemporanei come Susan Sontag e Hans Jovis.
Una carrellata di stimoli e di suggestioni selezionati con l’intenzione di rafforzare un’unica tesi: la necessità di definire un nuovo «imperativo ecologico», un «pensiero comune pratico» costituito da «convenzioni che puntino all’azione e che siano innescate dal principio del bene comune». Il tutto con l’obiettivo di istituire una «comunità di vita» a cui appartengano, allo stesso modo e con gli stessi diritti, uomini e ambiente, animali e piante. Perché oggi nessun crimine ambientale – l’abbattimento della foresta amazzonica, l’inquinamento dell’oceano, l’estinzione di specie animali e vegetali – «è così lontano da noi da poterlo ignorare».
E allora ecco che sotto il nuovo orizzonte dell’imperativo ecologico trovano spazio sia i diritti della biosfera, sia i diritti di quanti si trovano lontani da noi, siano essi «lontani nel tempo», vale a dire le generazioni future, «lontani nello spazio» oppure lontani «dal punto di vista sociale e dei diritti». Un discorso a cui si allacciano temi di stretta attualità, come la pandemia e i vaccini, gli scioperi dei giovani per il clima e la tutela dell’ambiente – che è anche tutela della vita e, quindi, della bellezza.
«Non possiamo costruire alcun tipo di futuro se non guardiamo al passato: la nostra lungimiranza deve essere bifronte, deve vivere il presente consapevole del passato e del futuro» e «noi tutti – conclude il professore – siamo chiamati a trasformare queste suggestioni in discorsi pratici, in azioni concrete». Altrimenti, non resterebbe che concordare con il poeta Giorgio Caproni: era il 1991 quando nei suoi “Versicoli quasi ecologici” scriveva “… Come / potrebbe tornare a essere bella, / scomparso l’uomo, la terra”.