Un folle, oppure un lucido assassino. L’indagine sulle morti per avvelenamento da tallio, passa ora dalla perizia psichiatrica che l’autorità giudiziaria ha disposto nei confronti di Mattia del Zotto, il 27enne reo confesso del triplice omicidio dei nonni paterni e della zia Patrizia Del Zotto e del tentato omicidio di altri quattro suoi famigliari e della badante dei nonni. L’accertamento di natura clinica, affidato allo psichiatra forense Marco Lagazzi, è stato eseguito nei giorni scorsi.
Ora lo specialista ha un termine di 45 giorni per depositare le conclusioni sul tavolo del pm di Monza Carlo Cinque. Ovviamente si tratta di stabilire se l’azione omicida del novese, che ha confessato di aver mescolato il tallio all’acqua minerale nella dispensa della villa di famiglia in via Fiume 12, sia stata viziata da incapacità di intendere e volere, o se, come sembrano propendere a credere gli inquirenti, la sua sia una “mente criminale lucida”. Mattia, dopo un periodo trascorso nel reparto di psichiatria dell’ospedale San Gerardo deciso dalla direzione della casa circondariale brianzola, ha fatto ritorno in carcere. Ai carabinieri, aveva detto di aver ucciso i parenti perché voleva “punire degli idolatri, degli impuri”, in una specie di delirio mistico-religioso.
La vicenda ha avuto forte eco mediatica in tutto il paese, per l’incredibile svolta che ha rivelato la mano di un assassino dietro a quelle morti tanto misteriose e complicate da capire nelle prime settimane. Nella prima fase delle indagini, infatti, gli inquirenti propendevano verso l’ipotesi dell’avvelenamento dovuto all’errore alimentare. Si pensava che la sostanza potesse essere stata mescolata per sbaglio al cibo. Nella casa di villeggiatura di Varmo (Udine), dove inizialmente si erano concentrate le indagini, c’erano delle vecchie confezioni di topicida, per esempio. La sostanza inoltre veniva descritta come “simile per consistenza alla farina”.
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L’ipotesi era che il veleno fosse stato aggiunto erroneamente al cibo. Questo dopo aver scartato diverse piste (dagli escrementi dei piccioni nella casa di villeggiatura, ad una possibile contaminazione del pozzo dell’acqua, sempre in Friuli), tutte senza esito. I carabinieri di Desio, coordinati dalla procura di Monza (il fascicolo era affidato al pm Vincenzo Nicolini, prima del trasferimento di quest’ultimo a Milano e la successiva trasmissione degli atti al collega Carlo Cinque), avevano avviato una serie di campionamenti a tappeto sul cibo trovato nella dispensa dei Del Zotto, fino a focalizzare le ricerche a Nova Milanese. Le indagini hanno preso radicalmente un’altra direzione quando anche i nonni materni, che vivono in via Padova, a circa un chilometro dalla villa dei Del Zotto in via Fiume.
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A quel punto le attenzioni dei carabinieri si è spostata sul nucleo famigliare di Mattia, l’unico a non aver subito la contaminazione e nello stesso tempo anello di congiunzione fra i due gruppi di avvelenati. Dal racconto dei genitori, è emerso il ritratto di Mattia come quello di un giovane che conduceva una vita isolata, con strane manie e interessi concentrati verso la religione e forme di vita ascetica. Ma la novità decisiva è arrivata con il sequestro del computer del 27enne novese. Tanto attento a cancellare tutte le tracce, ma quanto sbadato nell’incappare in un errore grossolano. La ricevuta d’acquisto della solfato di tallio, trovata in un ‘angolo’ dimenticato della posta elettronica. Da lì i carabinieri hanno fatto emergere anche il carteggio tenuto dal giovane con l’azienda di Padova che ha fornito i 60 grammi di polvere letale. Abbastanza per chiedere al gip Federica Centonze l’emissione di una misura catuelare in carcere, eseguita a dicembre dai carabinieri di Desio.