Dopo le polemiche, l’ironia, la dietrologia, sulla novità degli shopper biodegradabili a pagamento nei negozi e supermercati italiani sono intervenuti anche i ministeri. Per provare a fare un po’ di chiarezza sulla normativa approvata lo scorso agosto secondo quanto previsto da una direttiva europea del 2015 volta a tutelare l’ambiente e a ridurre l’inquinamento soprattutto dei mari.
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“Non siamo contrari al fatto che il cittadino possa portare i sacchetti da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti”, ha spiegato il segretario generale del ministero della Salute Giuseppe Ruocco.
Quindi no al riuso dei sacchetti per la spesa di frutta e verdura e alimentari sfuso. Perché “il riutilizzo dei sacchetti determinerebbe il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni problematiche”.
Il titolare dell’esercizio commerciale, ha aggiunto il segretario generale del ministero della Salute, “avrebbe ovviamente la facoltà di verificare l’idoneità dei sacchetti monouso introdotti”.
I sacchetti portati dall’esterno devono rispondere quindi ai criteri “previsti dalla normativa sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti e dovranno risultare non utilizzati in precedenza e rispondenti a criteri igienici che gli esercizi commerciali potranno definire in apposita segnaletica e verificare, stante la responsabilità di garantire l’igiene e la sicurezza delle attrezzature presenti nell’esercizio e degli alimenti venduti alla clientela”, si legge nella circolare del Ministero dell’ambiente emessa il 4 gennaio proprio per rispondere alle tante domande emerse con l’entrata in vigore della normativa.
Il documento fornisce anche un chiarimento sui 2 cents (di media, costo da 1 a 3) richiesti ai clienti. Le borse di plastica di qualsiasi tipo “non possono essere distribuite a titolo gratuito” dai supermercati, e “il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino”.
“L’obbligo di pagamento delle borse ultraleggere trova la sua ratio nell’esigenza di avviarne una progressiva riduzione della commercializzazione”, spiega ancora la circolare.
Dall’1 gennaio 2018 negozi e supermercati hanno pensionato i vecchi sacchetti in plastica leggera dei reparti frutta e verdura, macelleria e pescheria e hanno introdotto i nuovi shopper biodegradabili. La normativa “a tutela dell’ambiente” è stata duramente criticata per l’obbligo di pagare le buste, esattamente come succede con quelle in mater bi alle casse. Una spesa che è stato definito “un balzello” dalle associazioni di consumatori. E che invece è stata giudicata positivamente da Legambiente.
Sui social network si è assistito alla rivolta dei consumatori – anche tra i commenti lasciati sulla pagina facebook del Cittadino – e alle iniziative più o meno ironiche di chi ha pensato di pesare e etichettare un frutto alla volta per evitare l’acquisto delle buste.
E poi c’è stato chi ha puntato il dito contro Matteo Renzi, accusato di aver voluto così favorire un’azienda in particolare perché legato da parentela con gli imprenditori. Ha risposto direttamente dal suo profilo social: “L’ultima che sta girando molto via sms è che avrei organizzato un complotto per aiutare miei amici e cugini di terzo grado impegnati nella fabbricazione di sacchetti. Ebbene sì. Voi non immaginate quanto sia diabolica la nostra mente: prepariamo complotti tutti i giorni, anche tra San Silvestro e Capodanno. La storia è molto semplice. Nel 2017 l’Italia ha attuato una direttiva europea che tende a eliminare la plastica dai sacchetti. L’obiettivo sacrosanto è combattere l’inquinamento alla luce degli impegni che abbiamo firmato a Parigi e che rivendichiamo: noi a differenza di Trump non abbiamo cambiato idea. E quanto all’accusa che il Parlamento lo avrebbe fatto per un’azienda amica del PD vorrei ricordare che in Italia ci sono circa 150 aziende che fabbricano sacchetti prodotti da materiale naturali e non da petrolio”.