“Diverso da chi?”: il carrozzato sa decidere, proprio come Roosevelt

LEGGI Puntata 1 - 2 - 3 - 4 “Diverso da chi?”, la rubrica di Nicolò Cafagna. Con franchezza e (molta) ironia racconta la sua vita con disabilità. Anche la quinta puntata chiarisce alcuni aspetti sulla capacità decisionale.
“Diverso da chi?”: il carrozzato sa decidere, proprio come Roosevelt

“Tutti al mare a mostrar le chiappe chiare” deve inesorabilmente lasciar spazio a “L’estate sta finendo”, e con essa arrivederci mare e soprattutto divertimento. Ed è proprio questo il momento giusto in cui “Diverso da chi?”, con il suo carico di tristezza – del resto si parla di disabilità e di una grave malattia come la distrofia muscolare di Duchenne -, deve fare il suo ritorno: quindi addio voglia di ridere e di vivere.

Sulla falsariga della puntata precedente, questa volta ecco a voi una sorta di vademecum sulle parole o frasi da non dire in presenza (ma anche in assenza) di un esemplare di disabile carrozzato.

Comincio premettendo che non ho mai messo ruota (“piede” risulta incompatibile con la mia condizione di sofferente) nel paese più liberale del mondo – gli Stati Uniti – e che, di conseguenza, sul suolo a stelle e strisce non ho potuto commettere omicidi. Spero che sia chiaro: io non poggio le mie deliziose natiche su una “sedia elettrica”, ma su di una carrozzina elettrica. Infatti, quando le persone mi fermano per strada per informarsi sul mio mezzo di locomozione concludono spesso il loro intervento affermando: «Però è comoda la sedia elettrica, così almeno puoi essere autonomo». «Sì, è comoda. Almeno finché non mi frigge». E quando faccio notare la differenza, di solito controbattono sostenendo che, in effetti, io non posso infrangere il quinto comandamento (il sesto per la Bibbia), e a questo punto mi si attiva la pignoleria: è vero che non posso uccidere con le mie mani, ma posso esserne il mandante (sì, tengo a rivendicare questa possibilità, questione di orgoglio).
Sicché mi trovo costretto a fare l’esempio di Ahmed Yassin – tra i fondatori, nonché ex leader, di Hamas -, paraplegico e cieco, di fatto una “strage“ umana, che a sua volta organizzava stragi e attentati: ora capite che anch’io potrei diventare pericoloso (questo, al solo scopo di dimostrare che disabile non è sinonimo di buono).

Dopo questa prima e doverosa precisazione, passiamo a trattare il verbo “portare”, troppo spesso utilizzato a sproposito in relazione a una persona disabile. Per esempio se sostengo dinnanzi al bipedus ignorantis che la sera esco con gli amici, il suddetto facilmente mi chiederebbe: «Dove ti portano di bello?», per poi affondare: «Sono proprio bravi i tuoi amici, ti portano anche in giro!». Ecco, quest’ultima frase potrebbe sì farmi cambiare mezzo per una più bruciante sedia elettrica. Perché, primo: non sono un oggetto che viene portato; secondo, il fatto che non cammino non significa che non abbia capacità decisionali, posso scegliere anch’io il posto in cui andare; terzo, le persone che mi frequentano non lo fanno per pietà, semplicemente perché mi trovano noioso e molto antipatico.
Così, a questo punto mi tocca giocare la carta Franklin Delano Roosevelt, anch’egli collega di pigrizia (nonostante la vergogna lo spingesse a fare di tutto per non essere fotografato sulla carrozzina, proprio come il sottoscritto): tuttavia credo che il 32º presidente americano, benché disabile, abbia dovuto prendere qualche decisione, anche se di poco conto (e certo, non camminando non poteva certo prendere decisioni importanti).

Ne approfitto per sfatare un altro tabù: all’esemplare di disabile è consentito andare in giro da solo, questo non costituisce affatto reato, e soprattutto non bisogna stupirsi se lo fa: «Davvero vai in giro da solo? Ma che bravo che sei!». Sorvolando sul fatto che non ho 3 anni, quindi il “ma che bravo che sei” non rende il sottoscritto un bambino contento, ma bensì un adulto propenso a uccidere con le sue stesse mani (altro che mandante).

Questo vale anche per alcuni camerieri, che si sentono in dovere di chiedere agli altri commensali cosa voglio bere o mangiare: «Sono qui io, mi vedi?». Perché, ripeto nel caso qualcuno non l’avesse capito, ho capacità decisionali; sono provvisto, oltre che di vari curiosi marchingegni, anche della voce per chiedere aiuto oppure per ordinare; e conosco addirittura le regole basilari per andare in giro: infatti quando attraverso la strada so che bisogna guardare prima a destra e poi a sinistra e che, naturalmente, si attraversa col rosso. E ogni volta che lo faccio gli automobilisti mi suonano il clacson: ora capisco che trovino impossibile che un disabile possa andare in giro da solo, ma così mi sembra un tantino eccessivo…