«Mamma mamma, guarda quello: va da solo». Benvenuti nel favoloso mondo dei “nani da giardino”, ovvero di nientepopodimenoche i bambini, indubbiamente la mia categoria preferita tra le fila dei bipedi attivi (senza offesa per le altre categorie).
Li adoro per la loro disarmante innocenza e per l’assoluta mancanza di pregiudizi, frutto della loro acerba esperienza di vita, che difficilmente li ha messi dinnanzi a esemplari di disabile degni del mio nobile rango.
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Oggi, infatti, scopriremo come si comportano i neo bipedi attivi al cospetto, appunto, del francesino (ricordo che il francesino è il sofferente amante, ma soprattutto affetto della distrofia muscolare di Duchenne).
Ebbene, quella di cui sopra è la frase regina pronunciata dai nani da giardino, che non si limitano a sussurrarla alla madre, ma la gridano al punto che il sottoscritto e i presenti nel raggio di cento metri la possano sentire.
Questo mette in leggero imbarazzo – tanto per usare un eufemismo – la loro madre, che non sa più dove nascondersi, come non sa che quella sarà la prima di una lunga serie di domande. Al contempo mettono il titolare di questa rubrica di fronte a un atroce dilemma: aumentare il passo – anzi l’andatura (ma la voglio capire che non cammino?) – per ridurre l’imbarazzo, oppure rallentare, per accrescerlo? Beh, ritengo sia superfluo precisare per quale opzione propenda…
«Sì, ma non gridare», si premura di rispondere la madre. «Ma perché è su quella macchina?», chiede il pargolo, che si è già dimenticato di abbassare il tono. «Perché non può camminare». «Perché non può?», rilancia il piccolo. «Non ha la forza per farlo». E a questo punto la sua genitrice pensa sia tutto finito, ma il nano da giardino riprende fiato: «E cos’è quella cosa che ha nel naso?». «Ha problemi a respirare», gli risponde quasi sfinita la madre. «E perché va in giro da solo?», e addirittura: «Ma quella è una Ferrari?». A questo punto la proprietaria del suo copyright non può far altro che giocare il jolly: far valere la propria autorità. Prova a zittirlo, ma lui non demorde mica. Allora comincia a strattonarlo, poi a schiaffeggiarlo e, in ultimo, a picchiarlo pesantemente… O forse no? Temo che questo possa essere frutto della mia fervida immaginazione: in questa puntata non sono stati maltrattati bambini.
Diametralmente opposta, invece, è la reazione del nano da giardino, categoria impietrito. Il futuro impietrito lo vedi da lontano che gioca liberamente: parla, grida, corre, gesticola, insomma è indiavolato. Questo finché non mi vede, perché da quel momento in poi si immobilizza, pensa e respira solamente, gli occhi che mi fissano, immobili anch’essi, e la bocca aperta: «E questo da dove arriva?», si chiederà. Così, allo scopo di accrescere il suo stupore, gli dico «ciao» – anche se verrebbe più naturale dire: «Nicolò, telefono casa» – e a quel punto è ancor più stupefatto: «Ma questo parla anche?». Quindi la bocca si apre ancor di più e, con lo stupore che esce da ogni dove, ricambia il saluto. Mentre la domanda su come ti chiami risulta difficile da sostenere senza l’aiuto di chi ne fa le veci. Questi ultimi, tuttavia, preferiscono di gran lunga il nano da giardino impietrito, poiché non devono affrontare l’onta dell’imbarazzo.
Al contrario io li temo, solo e unicamente quando li incontro in bicicletta o in monopattino, al punto che ho deciso addirittura di toglier loro il saluto: questo non per la mia proverbiale maleducazione (provate a chiedermi di passarvi qualcosa…), ma solo per non essere accusato di omicidio colposo. La modalità, infatti, è la stessa di cui sopra: per qualche interminabile istante divento il loro mondo, mentre del resto del mondo si dimenticano completamente, proseguendo nel loro incidere. In queste circostanze ho sempre paura di sentire, quando il nanerottolo è alle mie spalle, i classici rumori dei cartoni animati: pock, patapum, plook e boom. Capite bene quindi che un “ciao” potrebbe trasformare il cartone in realtà e il sottoscritto perseguibile per il reato appena citato. Questo, infatti, è uno dei pochi casi in cui è preferibile non applicare la critica “ma cosa gli costa salutare?”: potrebbe sì avere un costo, addirittura in termini di cuccioli d’uomo.