Dal Gallaratese allo Zucchi di Monza: l’ultima maturità del preside Di Rienzo

Il caso più strano? Una festa pre esami con otto studentesse incinte. E il più avventuroso? L’inseguimento nella scuola di un maturando preso dal panico. Il preside dello Zucchi Vincenzo Di Rienzo si racconta davanti alla sua ultima maturità.
Monza Vincenzo Di Rienzo
Monza Vincenzo Di Rienzo Fabrizio Radaelli

Tempo di “riposo” per lo storico dirigente del liceo Zucchi Vincenzo Di Rienzo. Quella che prenderà il via la prossima settimana sarà per lui l’ultima maturità visto che a settembre lascerà la scuola per dedicarsi ad altro. Si conclude per il dirigente la carriera tra i muri di scuola, iniziata nel 1979 con il primo incarico di presidenza a Milano nella scuola media di via Alex Visconti nel quartiere Gallaratese. Per poi proseguire, concorso dopo concorso, la sua carriera sino ad arrivare a Monza, prima al Porta (per 12 anni) e poi allo Zucchi, altri dodici anni.

Che ricordo ha della sua prima maturità?

Era il 1976, ero commissario esterno come docente di italiano al tecnico chimico di Milano e c’era uno studente che si trovava in carcere a San Vittore, nessuno voleva andare. Così io, che ero il più giovane, sono stato scelto con un collega e ricordo ancora la trafila burocratica per entrare e lo stanzino bianco dove ha fatto gli scritti.

Tra tanti esami di Stato in cui è stato protagonista ne ricorda uno in particolare?

Ero a Catania. Ci avevano accolto molto bene, proprio il giorno precedente la prima prova ci hanno invitato a un buffet, mi sono trovato nel bel mezzo di una festa di otto “maturande” che erano incinte. Un episodio unico, associato al fatto che proprio quell’anno, prima degli anni ’80, la maturità venne rinviata perché una suora, raggirata, aprì la busta con i temi il giorno prima dell’inizio ufficiale. Io a Catania non sapevo nulla, ero d’accordo con il presidente che ci saremmo visti la mattina dell’esame alle 6,30 in un bar per recarci nella succursale della scuola. Arrivai puntuale ma del collega nessuna traccia, spaesato tornai nella sede della scuola, lo trovai seduto intento a leggere un giornale e, quando mi vide disse: «Non hai sentito la radio? L’esame è stato rinviato». Ero senza parole.

Episodi particolari che hanno lasciato il segno?

A Bormio qualche anno fa. Un ragazzo era tutto preso nella discussione quando all’improvviso si alzò e scappò via preso dal panico. Lo rincorremmo per calmarlo e dargli una seconda occasione. Ricordo anche una studentessa, presentata non molto bene, che fece un bell’esame e che premiai con soddisfazione. Ci sono così tanti aneddoti in quarant’anni di insegnamento che si potrebbe scrivere un libro.

Più di metà della sua carriera è stata a Monza. Come ha cambiato e visto cambiare la scuola?

Al Porta non c’era il linguistico, lo avviai dopo aver visto il successo della maxisperimentazione con il socio psico pedagogico. Il collegio docenti non fu entusiasta di questa proposta, ricordo ancora Pierfranco Bertazzini, allora preside all’Oxford, linguistico privato a Triante, che mi chiamò per dirmi: «Ti faccio i complimenti perché hai avuto una grande intuizione, ma con rammarico ti dico che mi farai chiudere» e fu proprio così. Mentre allo Zucchi ho contribuito alla nascita dell’indirizzo musicale. La scuola mi ha dato tanto, persino il titolo di “ufficiale della Repubblica”, otto anni fa.