Sarà un aereo militare a riportare in Italia una settantina di cittadini italiani rimasti a Wuhan dopo che le autorità cinesi hanno chiuso la città epicentro dell’epidemia di coronavirus. È partito domenica mattina nel giorno in cui il ministro Roberto Speranza ha annunciato che allo Spallanzani di Roma – dove sono ricoverati gli unici casi finora accertati in Italia – l’équipe di specialisti ha isolato il virus, per primi in Europa: «Questo significa molte opportunità di poterlo studiare, capire e verificare meglio cosa si può fare per bloccare la diffusione», ha sottolineato il ministro della Salute.
Per chi torna (c’è chi ha scelto di non allontanarsi da familiari in Cina) da lunedì inizia la quarantena per il tempo di incubazione della malattia in incubazione (due settimane). Un protocollo sanitario definito dal Ministero. “Nessuno di loro è stato al momento contagiato dal virus”, ha assicurato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
A Wuhan da dieci giorni Benedetta Busnelli vive con la mascherina sul volto. E per lavarsi è stato raccomandato di usare detergenti sterilizzati. La studentessa medese di 24 anni, iscritta al corso di Mediazione linguistica all’università dell’Insubria di Como, sta svolgendo un ulteriore percorso di studi nell’esteso capoluogo di 11,8 milioni di abitanti della provincia di Hubei, nella Cina Centrale.
S trova in quarantena nel dormitorio dell’università, la sua mobilità è limitata: «Possiamo uscire per comprare qualcosa da bere o da mangiare, ma solo con la mascherina e il detergente sterilizzante». È preoccupata, ma tranquilla: «Appena si è diffusa la notizia della messa in quarantena, ero rimasta scossa. Le informazioni che ricevo sono efficaci. C’è un’applicazione, aggiornata ogni mezz’ora, in cui sono forniti dati e numeri circa il contagio».
È rassicurata anche dai contatti continui con la sua famiglia: «Sento molto vicino la mia famiglia e gli amici, quindi sto bene». Preoccupati, ma sereni, sono anche i familiari che, dopo le prime ore d’ansia, ora sono più rassicurati, grazie anche alle informazioni ricevute dalla Farnesina.
La diffusione del Coronavirus non ha certo colto di sorpresa Benedetta Busnelli: «Le prime voci su questo pericoloso virus si erano diffuse già a fine anno. Ma i contagi erano pochissimi e si pensava a casi isolati». A partire dal 18 gennaio, la situazione è precipitata. «Però anche l’università ci ha fornito tanto aiuto e molte informazioni, per esempio su come pulire in modo efficace la nostra stanza».
Dopo il diploma all’istituto Jean Monnet di Mariano Comense, Benedetta Busnelli ha conseguito la laurea triennale di Mediazione linguistica all’università dell’Insubria. Dopo la laurea di primo livello, ha scelto d’iscriversi alla Magistrale proprio all’università di Wuhan.
Dalla Cina è tornato frettolosamente Gabriele Gatti, giovane di Seregno classe 1995 che si trovava fino a pochi giorni fa a Pechino nell’ambito di un progetto di scambio universitario che lo ha portato a studiare alla Renmin University della capitale.
In questi giorni le compagnie aeree hanno spinto molti studenti ad anticipare i voli di ritorno e anche molti ragazzi stranieri che stanno frequentando università cinesi, trovandosi ora in un periodo di vacanza (lì la sospensione delle lezioni dura dalla prima settimana di gennaio a metà febbraio) sono stati incentivati a non tornare. Pechino non si trova nella ormai famosa provincia di Wuhan (più a sud), ma vi sono stati registrati finora qualche decina di casi e l’allerta è comunque molto alta. «I casi registrati in città sono stati riscontrati in un’area che dista circa 20 km dal mio campus universitario, quindi piuttosto lontano dalla mia zona» dice Gabriele Gatti.
«I controlli sono stati intensificati, in realtà, solo nelle ultime settimane, forse perché le autorità hanno sottovalutato inizialmente il problema. Prima avevo sentito parlare in modo un po’ vago di una polmonite nella provincia di Wuhan, ma non era percepita in modo così allarmante», dice lo studente seregnese. I controlli a tappeto sulla popolazione, come l’utilizzo di rilevatori di temperatura corporea, si sono iniziati a vedere per le strade intorno al 24 gennaio
«Mi sarebbe piaciuto vedere il museo Nazionale, e il Capodanno Cinese ma le festività sono sospese, e luoghi generalmente molto frequentati come le catene McDonald’s e Starbucks sono chiusi. Inoltre, nonostante siano luoghi aperti, gli ultimi giorni non mi recavo nelle piazze principali come Tienanmen, per il rischio portato dall’affollamento».
C’è stato un momento in cui Gabriele ha temuto che anche Pechino potesse finire bloccata come altre città: «Per fortuna non è successo, anche se è difficile avere informazioni accurate e questo può spaventare. Per fortuna esistono dei gruppi su WeChat di altri studenti, italiani e non, dove ci si può confrontare». WeChat è l’app di messaggistica e pagamento controllata dal governo, di fatto obbligatoria nel Paese. «Spero che l’emergenza rientri al più presto», conclude il brianzolo.
(* a cura di Marco Mologni e Daniele Rigamonti)