Che c’azzeccano Di Pietro e PisaniI golpe di Penati e i silenzi di PontiLa trave il fuoco amico di Allevi

Monza – Alè, ci mancava solo lui (per il momento), Antonio Di Pietro da Montenero di Bisaccia, padre-padrone dell’Italia dei Valori a venire qui a dirci che le Province vanno abolite, superate. Per dirci questo poteva risparmiarsi di venire sino a Monza, di sabato mattina a «ruerzare» come e più del ministro La Russa e a provocare sicuramente un attacco di «orticaria» a Gigi Ponti, il candidato del Pd di cui sarà alleato nella corsa alla presidenza. La saga (o la sagra dove il baraccone delle tre palle un soldo non manca mai) degli abolizionisti continua.

Con notevole sprezzo, meglio, disprezzo, dei cittadini elettori che vengono di fatto invitati ad andare a votare per eleggere, e perdipiù per la prima volta, gli organi di governo (presidente e consiglio) di un ente che si vuole togliere di mezzo. Per risparmiare, si dice, mentre l’Italia pullula di 7 mila società e consorzi pubblici, messi su dai Comuni o da altri Enti, con 23mila tra presidenti e consiglieri di amministrazione i cui compensi sono stati ora pubblicati sul sito del ministero di Brunetta, ma che abbiamo sotto gli occhi, anche a Monza e in Brianza. Altra trovata è quella dell’Udc che dovrebbe, a ore (ma ormai quella di convocare e rimandare le conferenze stampa è diventata una moda), ufficializzare la candidatura a presidente di Domenico Pisani, consigliere regionale e già leader incontrastato per un decennio di Forza Italia a Monza e in Brianza e quindi, oscurato dall’astro nascente Massimo Ponzoni, caduto in disgrazia ed emigrato nel Centro popolare per le Libertà da lui fondato.

Sempre che l’Udc decida di correre da solo, come deciso dalla premiata ditta Casini&Cesa, o si allei invece con il PdL, come vorrebbero in periferia, per portare a casa qualche poltrona, poltroncina o strapuntino sicuri. Sempre che la Lega, che l’Udc lo vede come il fumo negli occhi, ci stia. Ma ormai per vincere altro che Giuda e i trenta denari, anche la madre venderebbero. Detto questo va aggiunto che Casini è un altro alfiere dell’abolizione delle Province, per cui idem con patate come Di Pietro, La Russa, Brunetta e compagnia cantante sino a Berlusconi. E se è lecito chiedersi che c’azzecca Di Pietro con la Brianza, salvo una sua fugace presenza in quel di Barlassina in anni di gioventù (così narrano le biografie di Tonino il censore, degli altri, mai di se stesso e dei famigli), nondimeno ci si deve domandare che c’entri Mimmo Pisani con l’Udc brianzolo che è o dovrebbe essere l’ultimo baluardo della presenza democristiana «doc» in questa terra?

Ma la settimana è stata foriera di parecchi altri avvenimenti anche sul fronte milanese, dove il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, già ricandidato in quanto astro luminoso del Pd, non pago degli equivoci attorno alla città-area metropolitana (che barba, è da cinquant?anni ormai che Milano ci prova) che trova non poche sponde nel centrodestra, e di cui non si capisce mai se Monza e Brianza dovrebbero far parte e a che titolo, sta tentando sul finire di mandato di far passare provvedimenti che coinvolgono il nostro territorio quasi fosse un «protettorato», quale probabilmente immagina dovrà continuare ad essere anche negli anni a venire se dovesse prevalere Gigi Ponti. È il caso del Ptcp (anche qui che barba, è da più di dieci anni che ci provano), ovvero di quella sorte di grande piano regolatore della Provincia. Il furbo Penati voleva approvarlo anche per la parte comprendente la Brianza. Non c’è riuscito per l’ostruzionismo del seregnese Attilio Gavazzi, che in quanto a filibustering è un maestro.

L’altro e ancor più pericoloso «golpe» che Penati ha tentato e sta ancora tentando è lo strano affaire incrociato della vendita di azioni della Serravalle (strapagate a Gavio) con questi chiari di luna e contemporaneamente del prestito obbligazionario da 100 milioni di euro per fronteggiare i debiti della famosa Asam (una porcata per dirla alla Calderoli), 20 dei quali graverebbero su Monza e Brianza, piaccia o meno. Credo che su entrambe le questioni anche il mite Gigi Ponti dovrebbe dire qualcosa, non «di sinistra», ma «di brianzolo». E veniamo alla presentazione ufficiale del candidato del centrodestra Dario Allevi. Premessa.

Magari il tormentato parto della sua candidatura fosse stato concepita e portata avanti come una felice gravidanza in quel di Monza e Brianza da coloro i quali gli sedevano a fianco all’Urban center (senza parate di generali e colonnelli), ovvero i segretari «provinciali» del centrodestra, Alboni, Ponzoni (destinati ad essere gemelli siamesi o separati in casa del Pdl?) e Romeo, con l’aggiunta del sindaco Mariani in quanto primo cittadino del capoluogo e presidente dell’assemblea dei sindaci. Magari, perchè avrebbe voluto dire che il centrodestra di Monza e Brianza aveva i «cosiddetti» per decidere da solo senza andare ad Arcore, Milano e Roma per mesi a giocare a risiko. Detto questo il candidato presidente Allevi, anzichè guardare alla pagliuzza del «nato a Roma» che lo ha tanto amareggiato, guardi alla trave della «liquidazione», che gli verrà imposta, della Provincia che vuole governare. Della cui genesi e cammino farebbe bene ad impararsi a memoria la storia (le prime sette puntate sono già a disposizione).

Quanto a «il Cittadino» (la cui tipografia fu devastata due volte dai fascisti) si sciaqui la bocca prima di parlarne. Ed infine un consiglio: anzichè dal fuoco «nemico» si guardi, e bene, dal fuoco «amico». In proposito chieda anche al suo mentore, il ministro della difesa. Dopotutto è un esperto. L’ultima perla, sempre a cura del centrodestra, è stato il mancato ok all’ingresso nella Provincia di cinque Comuni (quattro del Vimercatese più l’enclave di Lentate). A dire di no è stato il sottosegretario Luigi Casero, milanese, uomo vicino al vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. A proposito di fuoco «amico», ça va sans dire…
Luigi Losa