Barlassina, sintomi per 40 giorni e nessun tampone: «Vorrei sapere se sono positiva o che cosa ho»

La storia di una donna di Barlassina dal contatto con un collega positivo ai sintomi per 40 giorni, senza un tampone per verificare se sia effettivamente positiva al coronavirus. «Perché se non lo fossi avrei il diritto di provare a scoprire cosa ho», dice.
Ospedale di Desio
Ospedale di Desio

Tutto è iniziato a fine marzo. Prima un po’ mal di gola, poi febbre sempre attorno ai 37.5, emicrania fortissima, affanno, nausea, tosse e dolori alla schiena. Il 25 marzo una chiamata del capo, dall’ufficio, con la conferma che un collega era risultato positivo al contagio da coronavirus. E da quale momento la paura, tanta. È la storia di Simona Castelli, 47 anni, impiegata commerciale di Barlassina.

«Il mio medico di base ha richiesto il 26 l’attivazione del protocollo ad Ats. L’ultimo contatto con il mio collega l’avevo avuto il 13. Al primo aprile ho avuto conferma di rientrare nella sorveglianza attiva con scadenza della prima quarantena per il 9 aprile. Purtroppo i sintomi non sono passati e, anche senza febbre, ho avuto continua tosse secca e mancanza di voce. Nessuna terapia antibiotica ha avuto effetto e quando è ricomparsa la febbre, oltre ad un dolore molto acuto tra le scapole, il mio medico ha richiesto l’intervento del 112. Era il 20 aprile».

In ospedale a Desio le cose non sono andate come ci si aspetterebbe. «Mi hanno fatto un prelievo arterioso e misurata la temperatura: venti minuti prima a casa era oltre 37.5, in pronto soccorso invece a 36.1, gradi che non avevo da prima della malattia. Visto che i parametri erano nella norma sono stata invitata ad accomodarmi in sala di attesa insieme a tutte le altre persone. Io ovviamente ho fatto presente la mia storia clinica e ho chiesto di verificare la cartella con Ats, scoprendo che l’ospedale non è collegato con l’Ats di competenza. Ovviamente ho cercato di isolarmi, per senso di responsabilità. Alla radiografia torace libero e saturazione buona. Visti i sintomi da oltre un mese, senza un filo di voce, ho insistito per avere un tampone, ma non rientravo nei parametri. Alla fine sono stata dimessa, in codice bianco, con un’influenza. E quindi ho dovuto pagare il ticket di 25 euro. Al di là dei soldi, ho scoperto che non c’è modo di pagarlo online, ma solo di persona o al totem. E io, in quanto sottoposta a sorveglianza attiva, non posso uscire perché sarei penalmente perseguibile e comunque non mi sembra una grande idea».

E così, a parte il viaggio in ambulanza all’ospedale, è rimasta chiusa in casa dal 24 marzo senza che i sintomi scomparissero nemmeno un giorno. «Devo dire che del servizio comunale e della presenza del mio medico non posso affatto lamentarmi. Io chiedo solamente di avere un tampone, per sapere se sono effettivamente positiva, perché se non lo fossi, siccome nessuna terapia ha avuto effetto e i sintomi non sono mai scomparsi, avrei il diritto di provare a scoprire cosa ho. E sarei già in ritardo di 40 giorni su una potenziale cura».