Bisogna farla breve e la domanda è una: la cultura è pubblica o privata? Poi occorre declinare, e allora l’affare si fa complesso: il patrimonio culturale è pubblico o privato? E la sua trasmissione? Perché intanto bisogna chiedersi di cosa stiamo parlando. Del patrimonio artistico e architettonico? Va mantenuto e stop oppure può essere “messo in commercio”? Chi è pronto a mettere sul banco degli imputati lo sfruttamento commerciale del patrimonio artistico è pronto a fare altrettanto con la trasmissione della letteratura attraverso le case editrici (private) o della musica attraverso le case discografiche (private)? E l’arte contemporanea esiste senza le gallerie (private)?
Il problema è qui: sono più le domande, a intercalare la discussione, delle risposte. Eppure qualcuna ne andrà cercata. Lo fa per esempio il rapporto 2015 “Io sono cultura” elaborato dalla Fondazione Symbola con Unioncamere (l’unione delle Camere di commercio nazionali) con il patrocinio del ministero dei Beni culturali, presentato al Belvedere della Villa reale venerdì 13 novembre. Il documento mette nero su bianco il sistema cultura in Italia e ne traccia linee di sviluppo e tenuta economica. Dicendo prima di tutto dei dati importanti, e forse inaspettati, per il territorio di Monza e Brianza.
Intanto la “Graduatoria delle prime province italiane per ruolo del sistema produttivo culturale”: con 7.416 imprese registrate e il 10,2% sul totale provinciale, il territorio è quarto nella classifica nazionale dopo Firenze, Milano e Arezzo, davanti a Como, Roma, Pisa (e poi Lecco, Trieste, Bologna per completare la top ten). Significa che più del 10% dell’economia brianzola è composta da imprese culturali: secondo lo studio si tratta di una macchina composta da industrie culturali (libri, stampa, musica, tv, radio e video, giochi e software), da industrie creative (architettura, comunicazione, design e altro), patrimonio storico-artistico (musei, archivi e monumenti, biblioteche), performing art e arti visive, dove si incrociano il settore pubblico, quello privato e il terzo settore. In Italia, nelle province, il settore pesa in media il 7,3%. Non se la cava male, Monza e Brianza, anche nella classifica delle province italiane «per incidenza del valore aggiunto del Sistema Produttivo Culturale sul totale dell’economia», insomma: quanto vale il sistema cultura nell’insieme dell’economia locale, fatti i conti con il fatto che il territorio brianzolo è uno dei più industrializzati in Italia: 25esimo posto su 110 province, con un’incidenza del 5,6% del “fatturato” totale. Va ancora meglio se si considera il tasso di occupazione: nella graduatoria degli impiegati nel sistema produttivo culturale la Brianza è 11esima, dietro Milano e al pari di Roma, con il 7,2% dei lavoratori totali.
«Le imprese delle filiere culturali e creative producono 78,6 miliardi di valore aggiunto e ‘attivano’ altri settori dell’economia arrivando a muovere complessivamente il 15,6% del valore aggiunto nazionale, equivalente a 227 miliardi di euro» dice lo studio, ratificando il fatto che gli investimenti pubblici e privati in cultura sono motore automatico per il turismo (su cui Monza sta cercando di investire molto, nonostante non sembrino crescere gli investimenti culturali: la provincia – per fare un solo esempio – ha azzerato negli anni le risorse per il sistema bibliotecario, per esempio). Sul valore aggiunto della cultura parlano i dati: “Nel periodo 2012-2014, quindi in piena crisi, le imprese che hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato del 3,2%, mentre tra le non investitrici il fatturato è sceso dello 0,9%. E sempre le imprese che hanno investito in creatività sono state premiate con incremento dell’export del 4,3%, al contrario chi non ha puntato su questo asset ha visto le proprie esportazioni crescere di un ben più magro 0,6%”, dice il rapporto. Che aggiunge: «A forza della cultura va ben oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1, 7 sul resto dell’economia: così per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne “stimolano” altri 143”. Le ragioni che hanno fatto dire a Ermete Realacci, presidente di Symbola, che “come si è iniziato a fare, bisogna integrare le politiche culturali all’interno di quelle industriali e territoriali, riconoscerne e accompagnarne il ruolo da protagonista nella manifattura e nell’innovazione oltre che nel turismo».
«Mentre la crisi sembra finalmente allentare la sua presa è ancora più importante avere un’idea di futuro e capire il posto che vogliamo che l’Italia occupi nel mondo – aggiunge il rapporto – . Mentre dobbiamo fare i conti con nostri i mali antichi – non solo il debito pubblico, ma le disuguaglianze sociali, la disoccupazione, l’illegalità, una burocrazia spesso opprimente, il Sud che perde contatto – sapremo raccogliere le sfide e le grandi opportunità di questa epoca?». Una riposta il rapporto la dà: basta cercarla, dice, nel sistema culturale come inteso dal rapporto, ampio. La Brianza sa interpretare quelle sfide?n