40 anni fa il caso Tortora, l’avvocato Della Valle: “Avete mai sentito la voce di un uomo che sprofonda?”

A distanza di quattro decenni Raffaele Delle Valle ripercorre la storia di un arresto, e un processo, che hanno segnato l'Italia.
Enzo Tortora e l’avvocato Raffaele della Valle
Enzo Tortora e l’avvocato Raffaele della Valle ARCHIVIO

«Ma lei ha mai sentito la voce del dramma? Di un uomo che sprofonda?». Quella di Enzo Tortora, che quarant’anni dopo l’assurdo arresto, quel 17 giugno del 1983, accusato da alcuni pentiti, risuona ancora nella testa di Raffaele Della Valle, l’avvocato che accanto al presentatore di Portobello (insieme ai colleghi, Alberto Dall’Ora e Antonio Coppola) si sedette in un’aula di tribunale dove dovette difenderlo, con la vittoria in Appello, dalla accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico. Una affermazione giudiziaria, quella del 1986, che non salvò però Tortora, molto provato da quanto gli era accaduto, dalla morte prematura, nel 1988, a 59 anni.

40 anni fa il caso Tortora, l’avvocato Della Valle: “Un uomo perbene, con l’aggravante di piacere a tutti”

Una tragedia che investì “una persona perbene con l’aggravante di piacere a tutti” e un’Italia ammutolita. Sulla vicenda giudiziaria e umana l’avvocato monzese si è visto scorrere davanti film, fiction, pubblicazioni e per quattro decenni ha tenuto quelle memorie per sé, «salvo qualche intervista», fino al libro, fresco di stampa, ”Quando l’Italia perse la faccia. L’orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora”, una conversazione con il giornalista Francesco Kostner, domande e risposte, attingendo dalla vastissima documentazione in possesso del legale e dai sui ricordi di quei momenti drammatici (Luigi Pellegrini Editore, 160 pagine, 15euro, prefazione di Salvo Andò, postfazione di Santo Emanuele Mungari)

«Si tratta di un fatto che ancora oggi mi coinvolge emotivamente – spiega Della Valle – È stata la molla che mi ha fatto muovere nello scrivere questo libro. L’ho dedicato alle figlie di Tortora, Silvia, morta un anno e mezzo fa, e Gaia». Lo sta presentando in lungo e in largo per l’Italia – «mi invitano ovunque» – e in Brianza, martedì è stato a Villasanta. «Ho saputo anche di due scuole di Verona che hanno prospettato di proporlo ai ragazzi delle superiori per educazione civica».

Avvocato, a distanza di 40 anni oggi sarebbe possibile un nuovo caso Tortora?

«Credo che quello di Tortora sia stato quasi un unicum, un caso giudiziario da “sacco vuoto”, arrestato senza alcuna prova, un orrore giudiziario che doveva terminare subito. Avemmo l’ingiustizia fino al primo grado e poi la fortuna di trovare una Corte d’Appello che ha applicato la legge».

Come reagì allora la società civile al caso Tortora? In quella di oggi, social e connessa, cosa accadrebbe?

«Quando cade la quercia tutti corrono a tagliare i rami, di allora sento ancora il rumore della gente che batteva sul furgone dove c’era Tortora, lo stavano portando in carcere, quella stessa gente che lo ammirava in tv, aveva 26 milioni di spettatori. Dalla sua parte rimasero solo gli amici veri in primis Piero Angela».

Ma è possibile che sia accaduto tutto questo, non è stato un complotto quello nei confronti di Tortora?

«No, nessun complotto, si è trattato solo di gente piccola che non ha avuto il coraggio di dire di avere sbagliato, avrebbero dovuto scarcerarlo subito e poi avremmo affrontato un processo a piede libero, sdrammatizzando la situazione, invece è stato tutto spettacolarizzato. I pm di Tortora li chiamarono “i Maradona”, esaltati sui giornali».

Oggi esistono ancora dei “Maradona” in magistratura?

«Mi preoccupa la tendenza pericolosa di alcuni magistrati a non valutare adeguatamente quanto raccolto nelle indagini. Anche perché i controlli successivi, in primo luogo a causa della cronica carenza del personale giudiziario, talvolta sono molto blandi. Si rischia che il processo sia fatto sulla relazione della polizia giudiziaria. Io continuo ad avere annullamenti in Cassazione di sentenze di primo grado con condanne di nove, dieci anni».

Cosa occorre per evitare questo rischio?

«In generale la magistratura deve possedere una forte cultura della giurisdizione e non del sospetto, lavorare al servizio e non per il potere. E non occorrono nuove leggi, ci sono i “fari” della Costituzione, la presunzione di non colpevolezza e il giusto processo. A mio parere è necessaria una distanza netta e precisa tra pm e polizia giudiziaria, tra pm e giudice e tra pm e stampa, senza osmosi. E poi c’è il problema della legge che continua ad alzare le pene e al contempo fornisce scorciatoie per evitare i dibattimenti privilegiando la quantità a discapito della qualità dei processi. Occorre incrementare gli organici e depenalizzare reati che non stanno in piedi».

40 anni fa il caso Tortora, l’avvocato Della Valle: ieri e oggi

Com’è la situazione del Tribunale di Monza?

«In Procura c’è un grande equilibrio costruito su un tessuto solido, l’organico molto affiatato, il rapporto con gli avvocati corretto. Il tribunale di Monza, nel suo complesso, nel penale, è caratterizzato da uno storico garantismo».

Che ruolo ha la politica nel riformare la giustizia?

«Ah, importantissimo, però è sovente sotto “l’impero della magistratura” con i sindacati che si oppongono ancora prima che esca una legge».

Cosa ne pensa dell’attuale governo?

«Meloni secondo me è una donna fuori dal comune, potrà piacere o meno ma ha un attivismo incredibile e poi viene dalla gavetta. Io non sono molto favorevole sull’apporto della società civile, la politica va imparata».

E cosa ricorda di Berlusconi?

«È stato un grande imprenditore, ha fatto molte cose buone, però la politica la fanno gli statisti, quelli che vedono lontano. Berlusconi politico secondo me ha fatto meno del Berlusconi imprenditore».