La storia di Maria, rinata a 7 anni in terapia intensiva al San Gerardo di Monza

Questa è la storia di Maria, 7 anni. È quasi morta, si è ripresa dopo un incidente e il coma, sta bene. E per Natale, come ennesima dimostrazione di affetto, ha mandato un biglietto agli “angeli” che l’hanno salvata e agli altri pazienti ricoverati nel reparto di terapia intensiva all’ospedale San Gerardo di Monza.
Monza ospedale san Gerardo
Monza ospedale san Gerardo Fabrizio Radaelli

Questa è la storia di Maria, 7 anni. È quasi morta, si è ripresa dopo un incidente e il coma, sta bene. E per Natale, come ennesima dimostrazione di affetto, ha mandato un biglietto agli “angeli” che l’hanno salvata e agli altri pazienti ricoverati nel reparto di terapia intensiva all’ospedale San Gerardo di Monza.

“Ciao, io mi chiamo Maria e vi voglio dire una cosa, dovete essere dei guerrieri. Spero che stiate meglio e che torniate a stare con i vostri amici. Vi saluto sia grandi e piccoli. Siete dei guerrieri. E un grande bacio a tutti gli angeli che lavorano lì”.

Maria era arrivata al San Gerardo in una sera di gennaio del 2016. Stava rientrando a casa con la mamma quando un’auto l’aveva travolta, proprio di fronte ai citofoni a pochi metri dall’abitazione in un Comune dell’hinterland milanese. Lo schianto, i soccorsi e la corsa in ospedale con la diagnosi di grave trauma cranico, contusioni polmonari, fratture e una emorragia interna che per giorni l’hanno messa a dura prova. E con lei la sua famiglia. Giorni passati tra la vita e la morte.

La bambina viene presa in carico dall’équipe medico-infermieristica del Trauma Center.

“Le condizioni sono critiche, Maria viene sottoposta a una terapia medica e neurochirurgica estrema – racconta la struttura ospedaliera – Il papà con il fiato sospeso insegue giorno dopo giorno la speranza di poter vedere sorridere di nuovo la sua bambina. Le parole dei medici spesso sono difficili da accettare. Ma sono sempre seguite da conforto, sostegno. Perché anche i dottori e gli infermieri di un reparto di Terapia Intensiva sotto la corazza che indossano insieme alla divisa sono padri e madri, figli, fratelli e sorelle”.

L’incubo di Maria è durato diciassette giorni, dal ricovero al momento in cui ha riaperto gli occhi e ha potuto affrontare il trasferimento in una struttura riabilitativa. Poi è tornata per una nuova operazione neurochirurgica affrontata in questo caso con grande forza d’animo. Quando è andata via la prima volta ha salutato tutti e tutti l’hanno salutata. “… avete contribuito a ricostruire una famiglia. Grazie”, scriverà qualche giorno dopo il fratello al reparto.

Poi in un giorno di ottobre la sorpresa: è proprio Maria a suonare il citofono del reparto di terapia intensiva, accompagnata da mamma e papà, per travolgere tutti con l’entusiasmo di una bambina che ha già saputo vincere la più importante delle battaglie. E che per riconoscenza per essere tornata a una vita normale – a scuola, alle lezioni di zumba – ha deciso di passare a salutare. “Sai chi è venuta oggi? Maria, te la ricordi?”, è la voce che corre e si ripete.

«Spesso – sottolinea Giuseppe Foti, direttore dell’Unità operativa di Anestesia e Rianimazione – chi lavora in Terapia Intensiva, non conosce il finale della storia dei propri pazienti. Si lavora alacremente, si affronta la parte peggiore della malattia, ma una volta che la condizione clinica è stabilizzata, i pazienti vengono trasferiti nei reparti di degenza ordinaria e quindi alle riabilitazioni dove viene svolta una parte altrettanto rilevante del processo terapeutico: riportare alla normalità chi ha lottato fra la vita e la morte per settimane in un letto di Terapia Intensiva sedato, intubato, sottoposto spesso a plurimi interventi chirurgici multi specialistici, in totale dipendenza dalle macchine necessarie per sostenerne le funzioni vitali. Alla fine di tutto ciò, comunque, non esiste soddisfazione maggiore di quella di ricevere una lettera per Natale che si chiude con “…un grande bacio a tutti gli angeli che lavorano lì. Maria”».

«Quella di Maria – sottolinea il direttore generale della ASST di Monza Matteo Stocco – è una delle tante storie che vengono affrontate ogni giorno dai nostri professionisti con tatto, passione, coinvolgimento ed esperienza. È grazie a loro se il San Gerardo è diventato un punto di riferimento regionale e nazionale per le situazioni più gravi».

Il Trauma Center del San Gerardo cura ogni anno centinaia di pazienti “politraumatizzati gravi”, come Maria. Definito nel 2012 da Regione Lombardia, ha iniziato a stilare i primi protocolli di intervento condivisi di diagnosi e trattamento dei pazienti che hanno subito un trauma maggiore fin dal 1997. L’evoluzione delle procedure ha ridotto a meno del 10% le occasioni in cui l’ospedale non è in grado di accogliere immediatamente le richieste di ricovero da parte del 118 per pazienti politraumatizzati.

“È stata addirittura stampata una versione tascabile del protocollo di modo che ogni specialista possa portarla con sé e consultarla in ogni momento. Nel trauma, come in tutte le situazioni di emergenza, il tempo è vita e al San Gerardo si sono sviluppate procedure innovative che consentono ai pazienti più gravi l’accesso diretto alla sala operatoria consentendo l’inizio dell’intervento chirurgico salvavita in meno di 30 minuti. Da anni è stato individuato un Trauma Team multi specialistico che viene attivato mediante Sms”, spiega l’azienda.