Abolizione (o quasi) delle Province Ecco che cosa succederà davvero

Una non riforma che non abolisce le province e che potrebbe costare fino a due miliardi di euro alle casse dello Stato. Il disegno di legge dovrà essere confermato dalla Camera e approvato entro il 7 aprile per evitare che 52 enti, compresa Monza, tornino al voto il 25 maggio.
La Provincia di Monza e Brianza e il decreto legge Delrio
La Provincia di Monza e Brianza e il decreto legge Delrio Fabrizio Radaelli

Una non riforma che non abolisce le province e che potrebbe costare fino a due miliardi di euro alle casse dello Stato: è quella votata mercoledì sera dal Senato con 160 voti a favore e 133 contrari. Per portar a casa il provvedimento che, secondo Matteo Renzi farà sentire a tremila politici «l’ebbrezza di tornare a lavorare», il Governo ha dovuto mettere la fiducia per evitare un flop quasi sicuro.

Nei prossimi giorni il disegno di legge dovrà essere confermato dalla Camera e approvato entro il 7 aprile per evitare che 52 province, compresa quella di Monza, tornino al voto il 25 maggio.


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Il testo – Il maxiemendamento, che ha praticamente stravolto il testo originale firmato dall’ex ministro Graziano Delrio, trasforma gli enti intermedi in organismi di secondo livello retti da un presidente e da un consiglio designati non dagli elettori ma da sindaci e consiglieri comunali. I futuri presidenti saranno scelti tra i sindaci e, così come il consiglio e l’assemblea dei primi cittadini, dovranno svolgere il loro mandato gratuitamente.

Se Montecitorio non modificherà il testo, il nuovo corso partirà dal gennaio 2015 mentre dal 1° luglio al 31 dicembre 2014 le province saranno amministrate dalle giunte uscenti che, ovviamente bisognerebbe sottolineare vista l’aria che tira a Palazzo Chigi, non percepiranno compensi.

Il Delrio rappresenta, in ogni caso, un passaggio intermedio in attesa di una legge costituzionale che abolisca gli enti intermedi. La piccola rivoluzione potrebbe richiedere tempi piuttosto lunghi tanto più che il Parlamento dovrà affrontare anche la riforma del Titolo Quinto della Costituzione e quella del Senato. Le carte in tavola potrebbero, però, essere mischiate ancora una volta dalla Corte Costituzionale dato che nelle prossime settimane, come hanno paventato mercoledì alcuni rappresentanti di Palazzo Madama, dovrebbero essere presentati numerosi ricorsi in quanto tutti i giuristi che sono sfilati in commissione hanno puntato il dito sui profili di illegittimità del disegno.

Le cifre – Prosegue, intanto, la battaglia sulle cifre: secondo Renzi e Delrio lo svuotamento delle province farà risparmiare allo Stato oltre un miliardo mentre secondo il commissario alla Spending review Carlo Cottarelli le economie non saranno più di 500.000.000 di euro. Nell’immediato, in realtà, i benefici saranno rappresentati solo dai 111.000.000 di tagli sui compensi degli eletti e dal mancato esborso di 318.000.000 euro grazie alla soppressione delle elezioni. La Corte dei conti e la Ragioneria centrale temono, invece, che la cancellazione delle province si traduca in un aggravio dei costi: da mesi, del resto, c’è chi avverte che con il passaggio alle dipendenze delle regioni gli stipendi di molti dipendenti aumenteranno del 20%. C’è poi il rischio che ben pochi sindaci accettino di sobbarcarsi gratuitamente il lavoro e la responsabilità di governare un ente per puro spirito di volontariato: in quel caso potrebbero entrare in gioco funzionari e commissari prefettizi che, come accade negli enti commissariati, incasserebbero una doppia indennità. Anche per questo Antonio Saitta, presidente dell’Unione delle province italiane, ha commentato che mercoledì burocrati e prefetti hanno brindato.

Nella pratica – Le nuove province o, come le definisce il disegno di legge, gli enti territoriali di area vasta, dovrebbero cominciare a funzionare il 1° gennaio 2015. Entro il 30 settembre 2014 dovrà mettersi in moto la macchina per l’elezione del presidente, scelto ogni quattro anni dai sindaci tra i loro colleghi, e del consiglio che verrà rinnovato ogni due anni.

In Brianza il consiglio provinciale (che dovrà approvare i piani e i bilanci dell’ente) sarà composto da sedici rappresentanti designati tra i consiglieri comunali dei 55 municipi del territorio. La legge prevede che, solo per il mandato inaugurale, possano candidarsi anche i consiglieri provinciali uscenti. Il presidente e i consiglieri decadranno alla scadenza della loro carica comunale. Nell’esercizio del loro operato saranno affiancati dall’assemblea dei sindaci.

Restano di competenza delle province la pianificazione territoriale e la tutela dell’ambiente, la pianificazione dei trasporti, l’assistenza tecnico-amministrativa ai comuni, la gestione dell’edilizia scolastica, il controllo delle discriminazioni sul lavoro e la promozione delle pari opportunità. Altre funzioni possono essere delegate dalle singole regioni.