F1, #ilCittadinoGp, Stewart a 50 anni dalla sua vittoria a Monza: «Qui l’entusiasmo è sempre lo stesso»

Il tre volte campione del mondo Stewart, oggi 80 anni, nel 1965 centrò in Brianza il primo successo della sua carriera. Quattro anni dopo vinse la gara e il Mondiale.
Jackie Stewart nel paddock di Monza
Jackie Stewart nel paddock di Monza

Il 12 giugno del 1965, in pole positon c’è Jim Clark con la sua Lotus e il tempo di 1’35”9. Jackie Stewart in griglia parte terzo con la Brm, alle spalle della Ferrari di John Surtees: dopo 2 ore, 4 minuti, 52 secondi e otto decimi è Stewart a tagliare per primo il traguardo, lasciandosi alle spalle Graham Hill e Dan Gurney. La Ferrari di Lorenzo Bandini e Bruce McLaren completano i primi cinque posti. Quel giorno, Stewart vince il suo primo Gp, “un grande momento per la mia vita”, ricorda oggi a Monza. Cappellino verde, pantaloni a scacchi e camicia sbottonata.

Neanche avesse 80 anni, neanche ne siano passati 50 dal suo ultimo successo monzese. “Era il 1969 ed è stata una delle gare in cui le prime quattro macchine sono arrivate più vicine”. Forse quella in cui più di ogni altra il margine tra i primi è questione di centimetri. Stewart primo, Jochen Rindt secondo a otto decimi, Jean Pierre Beltoise terzo a 17 e McLaren quarto a 19. Con quel successo, Stewart vince la gara e il secondo dei suoi tre mondiali. “Correre a Monza è sempre stato speciale, c’è sempre stato grande entusiasmo ed è bello tornare qui. A parte quelle edizioni, per me i risultati sono sempre stati terrificanti”, continua Stewart, forse dimenticando il secondo posto del 1970 alle spalle di Clay Regazzoni, il giorno dopo la morte di Rindt. “In questo weekend, nei 90 anni di fondazione della Ferrari, credo che a tutti piacerebbe vedere vincere una Rossa. Oltretutto davanti a Piero Ferrari”.

A Stewart gli Amici dell’autodromo hanno dedicato a Biassono una mostra, aperta proprio fino alla domenica di gara, che il pilota britannico dice “che no, non sapevo ci fosse”. Celebra i 50 anni dal suo ultimo successo, 50 anni in cui “sono cambiate le hospitality, ma non la passione dei tifosi. Non sapevo che gli italiani ne avessero”, azzarda con humor, “ma qui c’è competenza, come a Wimbledon, dove i tifosi sanno esattamente quando applaudire e quando non farlo”.