Papurott o Papurogio: un po’ di storia (e storie) del dolce dell’Epifania in Brianza

Papurott o Papurogio: sapete di cosa stiamo parlando? Sono i dolci tipici dell’Epifania e Desio e Lissone se ne contendono la paternità.
PASTICCERE . Giancarlo GATTI Pasticceria S.ROCCO
PASTICCERE . Giancarlo GATTI Pasticceria S.ROCCO Gianni Radaelli

A Desio ne sono convinti. Sono sicuri. L’originale dolce dell’Epifania è nato qui, esattamente a metà strada tra le case dove hanno visto la luce due grandi: Achille Ratti e Luigi Giussani. È nato nel laboratorio di Edoardo Pastori, sul “ponte”, con la roggia Traversi a scorrere accanto, la discesa per raggiungere la basilica e lo sferragliare del tram. È nato nel 1929, l’anno dei Patti Lateranensi, ma le sue radici, l’idea, l’intuizione, sono più vecchi di dieci anni, quando il papà di Edoardo, panettiere a Rho, già creava qualcosa di simile con la pasta del pane.


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Papurott o Papurogio: un po’ di storia (e storie) del dolce dell’Epifania in Brianza
foto storiche della pasticceria Pastori di corso Italia

A Desio il dolce della Befana è chiamato ‘papurogiu’, con due ‘u’. Il suo nome, però, in origine era leggermente diverso: Pastori lo aveva battezzato ‘poporogio’,con una serie di ‘o’ da fare invidia ad un onomatopeico. Era così per via della sua forma da bambino. Il nome del dolce si è alterato nel tempo, ma non la ricetta originale. Quella è rimasta invariata per anni, è stata portata avanti da Italo, figlio di Edoardo, ed è andata in pensione con lui, quando decise di chiudere il bar pasticceria di corso Italia. Non è mai invecchiata, la ricetta, pur avendo tra le pieghe 90 anni di vita come il lievito madre che era l’anima di ciascun omino dei Pastori. Sempre quello. Custodito gelosamente e attentamente dentro il tabernacolo della sala dolci. Piuttosto, la ricetta diveniva più fresca e fragrante, tanto che in molti hanno cercato di ripeterla. Ma non col medesimo gusto, quello regalato dalla ‘ics’, dall’ingrediente segreto.

Edoardo Pastori nel 1929, appena aperto il laboratorio di pasticceria a Desio, aveva pensato di realizzare il poporogio (poi papurogiu) in modo diverso rispetto al padre panettiere. Aveva deciso di utilizzare la pasta del panettone che lui già produceva, forte dell’esperienza maturata attraverso l’amicizia con Angelo Motta, il vero creatore del dolce natalizio milanese, e con Gioachino Alemagna. Motta ed Alemagna avevano mosso i primi passi con Pastori ed avevano dato inizio alla produzione di serie, assumevano operai, utilizzavano le macchine per ‘pirlare’ la pasta, per farla girare in continuazione (proprio come il pirlo, il pezzetto di legno col quale giocavano tutti i bambini di allora) mentre scorreva sul nastro trasportatore. E poi infilavano tutto nello stampo.

Pastori no, faceva ogni cosa rigorosamente a mano. Da solo. Pirlatura compresa. E a mano impastava pure i papurogi, uno alla volta, con la pasta dei panettoni, ma senza i canditi e l’uvetta . Di là, nel retro, lontano dagli occhi di tutti, tranne che quelli di Italo, suo figlio, la porta ben chiusa, metteva a ‘puntare’ il rotolo di pasta, tipo bastone. Lo faceva riposare. Poi gli dava la forma e lo passava in forno. Il dolce piaceva, ma di gente che entrava in pasticceria, a quei tempi, ce n’era poca. Che fare? Rinunciare ad una simile squisitezza? Pastori pensò di andare avanti, con pazienza, di rifornire col suo dolce i panettieri e i negozi di alimentari di Desio e dei centri vicini: Seregno, Bovisio, Nova, Muggiò. E anche Lissone.

Papurott o Papurogio: un po’ di storia (e storie) del dolce dell’Epifania in Brianza
foto storiche della pasticceria Pastori di corso Italia

E proprio a Lissone è storia è diversa. Perché sono storie di famiglia che sono dolci ricordi, dolci come il “Papurott”. Giancarlo Gatti, titolare della pasticceria “San Rocco” di via Settembrini a Lissone, ha mosso i primi passi sul bancone dell’attività aperta dal padre, Alfredo, e dallo zio Camillo nel 1953 in via Mazzini e 10 anni più tardi trasferitasi nella sede attuale.
«Ai tempi mio padre e mio zio dividevano i locali, tra falegnameria e dolci – raccontava al CittadinoMB un anno fa – Vedevo mio papà col triciclo dei legnamè portare in giro le brioches. Poi, in via Settembrini, ricordo che io, avevo 7 o 8 anni, lo aiutavo a fare il Papurott: mettevo le uvette per creare gli occhi e l’ombelico. Si faceva solo a Lissone, sì. A Desio lo portavamo ai clienti. È una tradizione che è rimasta e di cui ancora oggi c’è una vera febbre: il 5 e il 6 gennaio la richiesta è sempre alta. Tutti vogliono il Papurott che è un simbolo, come la torta paesana alla festa di Lissone».

Nel suo laboratorio, Giancarlo prepara con cura e passione il bambolotto dell’Epifania; ogni Papurott è fatto rigorosamente a mano, ecco perché ogni figura è diversa dalle altre. «Servono 10 ore di lievitazione – spiega – alla mattina, alle 6.30, si infornano per 10 minuti e sono pronti. Il primo dell’anno? Lo passo a lavorare».

E se qualche Papurott non esce integro? Alla pasticceria “San Rocco” c’è anche «il reparto di ortopedia»: è così che Gatti definisce simpaticamente i collaboratori che col cioccolato rimediano agli imprevisti, aggiustando a dovere le croccanti fratture di gambe o braccia del Papurott appena sfornato. Una magia anche questa, come quella della tradizione che si tramanda con un profumo inconfondibile. Varcare la soglia delle pasticcerie storiche della città, nei giorni antecedenti l’Epifania, è come entrare in un mondo a misura di bambino. Il Papurott è di casa.
«Ricordo che 50 anni fa, nel negozio di alimentari di mio padre, i clienti di San Giorgio di Desio non sapevano cosa fosse – diceva Alessandro Sala, titolare dell’ omonima pasticceria di via Manzoni – la leggenda narra che questo dolce abbia almeno 100 anni. Chi ha lavorato a Lissone, l’ha poi esportato, ma i paesi attorno a noi non lo facevano. Mio papà, classe 1925, lavorava come garzone dalla bottega Pozzi in via Sant’Antonio. Aveva 12-13 anni e preparava il Papurott». Le famiglie numerose lo acquistano in grande quantità: «Per regalarli a figli, nuore e nipoti – spiega Sala – noi prepariamo il classico in pasta di brioches».