Meteo e siccità: l’inverno secco mette in ginocchio l’agricoltura di Monza e Brianza

Non piove davvero da mesi, i campi della Brianza sono secchi: è a rischio la totalità dei raccolti primaverili e le previsioni del tempo per il prossimo mese non danno speranze. L’agricoltura è in ginocchio: «Sempre più difficile lavorare».
Campi agricoli secchi
Campi agricoli secchi Davide Perego

Terreni mangiati dalla siccità e nessuna promessa dal cielo. «Se nel giro di qualche settimana non piove, si potrebbero registrare perdite pressoché totali sulle colture primaverili e raccolti cerealicoli dimezzati».
A spiegarlo è Alessandro Rota, presidente della sezione Coldiretti cui fanno capo le Province di Milano, Monza e Lodi. «Per le zone irrigue abbiamo intavolato un discorso con la Regione per il contenimento dei grandi laghi – ha spiegato Rota – Ma per le zone non irrigue non ci sono soluzioni». Ovvero, nella fetta della Brianza collocata a nord-est di Monza, bisogna solo sperare che inizi a piovere e che la siccità prevista per i prossimi 30 giorni venga smentita.


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«Se l’acqua non arriva, saremo messi davvero male» ha constatato Diego Valandro, dell’azienda Valandro di Triuggio. Quest’ultima si estende su una superficie di 12 ettari, coltivata in parte a fienagione e in parte a cereali: la produzione agricola è prevalentemente funzionale all’allevamento di 50 cavalli (metà dell’azienda agricola, metà in pensione e di proprietari privati).

Le dure condizioni climatiche con cui deve fare i conti il lavoro nei campi, tuttavia, non hanno a che vedere solamente con la siccità. Se anche dovesse piovere, infatti, «avremo comunque meno produzione annuale perché abbiamo perso un mese. Il clima è stato caldo fino a dicembre e i cereali già piantati sono cresciuti ritardando il periodo di riposo vegetativo, che si è spostato a gennaio con le recenti gelate».

L’inizio nero del 2016 – con un 66,7% in meno di pioggia rispetto alla media, con riserve idriche quasi al 60% in meno rispetto al periodo 2006-2014 e al 43,7% in meno rispetto al già secco 2007, con sbalzi termici dannosi – arriva dopo un’altra annata da dimenticare. Il 2015 è stato l’anno più caldo di sempre (almeno da quando esistono le rilevazioni strumentali) e ha contribuito a portare l’asticella del surriscaldamento globale a un grado centigrado in più rispetto alla media del XX secolo.

Che ha significato tutto ciò a livello locale, dove l’estate è stata completamente secca? Per Valandro – e per gli agricoltori come lui – ha rappresentato «la perdita di un taglio di prato, di un quintale di mais e orzo per ogni pertica coltivata, di metà dell’avena e del 70% del mais».

Ma non solamente questo: per l’allevamento, il mutare delle stagionalità genera «forti difficoltà nella fecondazione degli animali e nella crescita dei puledri». Su 10 cavalle, oggi Valandro ne ha solo 5 gravide e «con temperature sempre alte, il puledro si nutre di meno e lo svezzamento passa dai 6 mesi all’anno».

Allargando la cornice di osservazione, il quadro dell’agricoltura e dell’allevamento italiano è ancor più drammatico. «Gli allevamenti zootecnici così come il florovivaismo e gli ortaggi, sono in forte crisi – ha spiegato Rota – I disciplinari di produzione sono ferrei, ma il prezzo riconosciuto ai prodotti non ne riconosce la qualità».

A questo si aggiunga il fatto che è impossibile quantificare i guadagni (e le perdite) in maniera preventiva: «Ad oggi non sappiamo il prezzo dei cereali, verrà fissato dal mercato una volta che lì verranno immessi». Si comprende perché Valandro affermi che «rispetto a quello che guadagniamo , sta meglio uno che prende 800 euro al mese. L’unica soluzione, per noi, è stata quella di diversificare».