Lissone, i ricordi dei “ragazzi” del bar Duomo: «Noi a scuola con zoccoli e cartella di legno. E a 11 anni si andava a lavorare»

Così ripensano alla loro adolescenza negli anni ’30 e ’40. «Andavo a scuola proprio in periferia, a Santa Margherita- ricorda Bruno Sala - e ricordo bene quando nevicava o c’era brutto tempo perché speravamo di saltare le lezioni visto che i maestri arrivavano dal paese. Arrivavano sempre però».
La Lissone di una volta, con tanto di tram
La Lissone di una volta, con tanto di tram Gianni Radaelli

La cartella fatta di legno. Gli zoccoli ai piedi. Il grembiule nero con il colletto bianco. Così i ragazzi andavano a scuola negli anni ’30 e ’40, non facevano eccezione i giovani lissonesi perché “solo quelli ricchi avevano le scarpe” ricorda il gruppo di amici che, ogni giorno, si ritrova al bar Duomo per due chiacchiere ma anche per festeggiare, proprio lunedì è stata la volta di Bruno Sala e i suoi 91 anni.

Un gruppo di arzilli anziani, l’età media è intorno agli 85 anni, che ha una ferrea memoria dei tempi della gioventù, ricordi legati alla famiglia, alla scuola e al lavoro perché come hanno detto tutti più volte “noi a 11 e 12 anni eravamo già in bottega a imparare un mestiere, no c’era tanto tempo per essere bambini”. Tutti hanno ricordi speciali legati a diversi episodi. «Ricordo che al mattino, prima di andare a scuola, uscivo da casa per andare in cascina a prendere il latte- racconta Angelo Perego- e, in tempo di guerra spesso scappavamo fuori scuola quando scattava l’allarme bombardamenti, c’era un rifugio dove dovevamo andare con la nostra cartella di legno, fatta a mano».

Dalla scuola al lavoro in bottega il passaggio è stato veloce. «Ero falegname come tutti i miei fratelli, la giornata era divisa tra scuola e bottega- continua Angelo- per fortuna alla sera ci trovavamo con gli amici. Ricordo ancora la prima volta che ho visto il mare, a Genova, avevo 15 anni ed eravamo in gita con la scuola, dopo le elementari ho fatto il professionale la scuola di avviamento al lavoro. Al mattino siamo saliti su un camion aperto, con delle panche ai lati, che ci ha portato a Genova. Il nostro “autobus” è stato quello». Tra i tanti luoghi di svago uno su tutti è predominante “l’oratorio maschile”. Uno spazio in cui tutti i ragazzi trascorrevano le loro domeniche pomeriggio, spesso accompagnati dalla nonna o dalla mamma, lì si entrava e non si usciva sino a quando non era l’ora. «Ricordo che facevamo di tutto per scappare dall’ora di catechismo- continua Mario Dassi- in genere di scavalcava il muretto per evadere. Non facevamo chissà cosa, a volte andavamo al cinema a vedere i film “vietati” come Tarzan e Totò. Ricordo che aiutavo il don nella classificazione delle pellicole che poi trasmettevano all’oratorio erano quattro categorie stabilite dalla diocesi di Milano “per tutti, sconsigliati, per adulti e proibito”.

Così quel che non ci facevano vedere lo trovavamo in altro modo. Le ragazze si potevano vedere solo al mese di maggio, quando andavamo all’oratorio femminile per il mese della Madonna, ci vedevamo con le ragazze in maniera furtiva». Già perché in quegli anni tutto era ben separato, dagli ingressi in chiesa, alle scuole sino all’oratorio. Edifici divisi e distanti per tenere lontani maschi e femmine. Lissone aveva due scuole, una in centro e l’altra a Santa Margherita ma gli insegnanti erano sempre gli stessi. «Andavo a scuola proprio in periferia, a Santa Margherita- ricorda Bruno- e ricordo bene quando nevicava o c’era brutto tempo perché speravamo di saltare le lezioni visto che i maestri arrivavano dal paese.

Arrivavano sempre però». A differenza di molti altri amici Bruno non ha fatto il garzone in bottega ma da un ciclista, allora la bicicletta era il mezzo di trasporto più diffuso e quindi c’era molto lavoro. «Non avevo mai pensato al ciclismo, lavorare lì mi avvicinò a quello che poi diventò un grande amore la bici- continua Bruno-. Le giornate quindi si movimentarono, scuola, negozio e allenamenti sulla mia due ruote. Quel che per tutti noi era importante era stare insieme, nei cortili, all’aperto». Serviva poco per divertirsi. «In inverno, quando ghiacciava il nostro divertimento era scivolare- conclude Giancarlo Ducchi- usando la cartella come slitta, all’uscita dalle lezioni. Oppure si giocava alla lippa, a saltare, a calcio usavamo degli stracci per fare un pallone, in estate andavamo a caccia di lucciole». Non c’era tanto tempo per essere bambini, in tempo di guerra, eppure ci si divertiva. “L’autorità era il sacerdote, tutti facevamo riferimento a lui” concludono insieme.