Crisi in Afghanistan, l’attivista di Seregno: «Angosciata per le colleghe di Pangea Onlus che rischiano la vita per mano dei talebani»

Silvia Redigolo di Seregno è un’attivista della Fondazione Pangea Onlus e inquadra così la situazione che si è creata in Afghanistan dopo la presa del potere da parte dei talebani: «Le nostre colleghe rischiano la vita».
Silvia Redigolo di Seregno in Afghanistan qualche anno fa
Silvia Redigolo di Seregno in Afghanistan qualche anno fa

«Siamo angosciati perchè sappiamo che le nostre colleghe sono in pericolo e rischiano la vita per essersi impegnate con coraggio con Fondazione Pangea Onlus per i diritti delle donne e delle bambine». Silvia Redigolo, di Seregno, è in continuo contatto con le sue “colleghe” afghane ed è fortemente preoccupata per la loro incolumità, ora che i talebani sono tornati ad essere padroni dell’Afghanistan. Impegnata da 19 anni con la Fondazione Pangea Onlus in progetti in difesa dei diritti delle donne, l’attivista brianzola considera l’Afghanistan come una seconda casa: «Per me non è solo un progetto, è la famiglia. Prima del Covid, ci andavo due volte all’anno e mi stavo preparando per tornarci: avevo già il visto per partire a fine agosto col presidente di Pangea, Luca Lo Presti».

Ora l’angoscia cresce di giorno in giorno «Cerchiamo di non perdere il contatto con le ragazze (non posso dire i loro nomi per proteggerle). Abbiamo bisogno di assicurarci che stiano bene. I loro messaggi sono angoscianti: hanno saputo da amici e parenti che i talebani hanno iniziato a bussare di casa in casa, alla ricerca di chi ha collaborato con gli occidentali. Vivono nel terrore. Sono barricate in casa, hanno paura ad aprire la porta. Sanno che rischiano tanto». Nei giorni scorsi, gli operatori e le operatrici di Pangea a Kabul hanno distrutto e bruciato documenti e fotografie con i dati sensibili delle donne coinvolte nei progetti. «Nell’ufficio di Pangea a Kabul abbiamo distrutto tutti i documenti con i dati sensibili di tutte le donne che abbiamo aiutato in questi anni. Non vogliamo che i talebani possano trovare i loro nomi. Rischierebbero la vita» spiega Silvia.

La Fondazione Pangea negli anni ha sostenuto in Afghanistan più di 50 mila donne con progetti di microcredito e ha offerto l’istruzione a migliaia di bambine. «Abbiamo lavorato per i diritti delle donne: la nostra è una realtà scomoda e lo è ancora di più ora che ci sono i talebani». La priorità adesso è quella di portare via le operatrici attraverso i corridoi umanitari. «Tutte le sere compiliamo le liste con i nomi di chi vogliamo fare partire – racconta la seregnese –. Inseriamo anche bambine e ragazze: ogni sera, allunghiamo la lista. Alcune operatrici ci dicono che vogliono restare, ma in questo momento devono assolutamente pensare a salvarsi. Solo così potremo proseguire i progetti di Pangea. Non sappiamo come continueremo, ma di sicuro Pangea non se ne va. Non vogliamo lasciare soli gli afghani». Per informazioni si può consultare il sito www.pangeaonlus.org e le pagine social di Fondazione Pangea Onlus.