Biassono, ex comandante in divisa nazista: condanna a sei mesi e interdizione pubblici uffici

Sei mesi con la pena sospesa, 850 euro di multa, e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici in virtù della legge sull’apologia del fascismo. Condanna per Giorgio Piacentini, ex comandante della polizia locale di Biassono finito a giudizio per essersi fatto ritrarre, nel 2017, in divisa da “maggiore delle Ss”.
Giorgio Piacentini
Giorgio Piacentini

Sei mesi con la pena sospesa, 850 euro di multa, e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici in virtù della legge sull’apologia del fascismo. Condanna giovedì 29 ottobre, al tribunale di Monza, per Giorgio Piacentini, ex comandante della polizia locale di Biassono finito a giudizio per essersi fatto ritrarre, nel 2017, in divisa da “maggiore delle Ss, Unità testa di morto”, secondo quanto recita il capo di imputazione formulato nei suoi confronti, e di aver pubblicato la foto sui social network, corredata da commenti, che avevano la pretesa di essere umoristici (senza riuscirci) come: “Basterebbe una compagnia di queste per sistemare alcune cose”, o “proporrò al sindaco di adottare questa divisa”.

Piacentini si è sempre giustificato dicendo di aver agito in qualità di appassionato di divise, e frequentatore di gruppi dediti alle rievocazioni storiche. In aula ha ribadito questa spiegazione, dicendo che la foto l’aveva postata privatamente, ma di averla messa per sbaglio come immagine nel profilo pubblico, mentre “erano solo nel profilo privato i commenti all’immagine”. In aula aveva aggiunto: “Con quel commento mi riferivo alla situazione grave che attraversava il comando della polizia locale di Biassono in quel periodo, non avevo alcuna intenzione di diffondere idee filonaziste”. La vicenda della divisa da SS era costata a Piacentini la retrocessione ad agente semplice, ma dopo 12 mesi di ‘purgatorio’, era arrivato da parte degli uffici comunali il reintegro nel suo ruolo al comando della polizia locale, che il sindaco Luciano Casiraghi (Lega) aveva giustificato sostenendo che il vigile non aveva “mai smesso di chiedere scusa”.