26 aprile, l’allarme del Mio: «Il 60% delle attività di ristorazione non può riaprire»

Il Movimento Imprese Ospitalità guarda con preoccupazione alla data del 26 aprile quando le attività di ristorazione, in zona gialla, possono riaprire con spazi all’aperto: «In Lombardia, e in Brianza in particolare, il 60 per cento della attività di ristorazione non ha la possibilità di mettere tavoli all’esterno e quindi continuerà a trovarsi nella situazione di oggi».
Salvatore Bongiovanni
Salvatore Bongiovanni

Il Movimento Imprese Ospitalità, associazione di imprese che operano nel settore della ristorazione, dell’ospitalità e del turismo, continua il suo pressing sulle istituzioni, per cercare di ottenere condizioni migliori in vista dell’ormai annunciata riapertura delle attività di ristorazione.

«A una settimana dalla data fatidica del 26 aprile – spiega il delegato regionale Salvatore Bongiovanni, titolare di un pub a Seregno – sottolineiamo che in Lombardia, e in Brianza in particolare, il 60 per cento della attività di ristorazione non ha la possibilità di mettere tavoli all’esterno e quindi continuerà a trovarsi nella situazione di oggi. Inoltre, in caso di pioggia o freddo, sarà impossibile lavorare anche per chi ha tavoli all’esterno».

Analogo è il parere del presidente nazionale Paolo Bianchini: «Chiediamo immediati chiarimenti sulle riaperture del comparto dell’ospitalità a tavola dal 26 aprile. Non esistono, infatti, ristoranti, bar e pizzerie di serie A e di serie B. Non è quindi immaginabile lasciare chiusi i locali che non possono contare su spazi all’aria aperta, esasperando e spaccando un settore sfiancato da tredici mesi durissimi».

Bianchini rincara quindi la dose ulteriormente: «Siamo a 128 giorni di restrizioni dal 25 ottobre a oggi. Più del primo lockdown, che durò 68 giorni. Il comparto dell’ospitalità a tavola non può continuare a pagare colpe non sue. Tra l’altro, i cittadini e gli imprenditori subiscono ancora il coprifuoco, una misura che non può essere portata all’eccesso, come sta avvenendo, né può rappresentare la normalità in una nazione democratica».