«Talento innamorato delle moto»Lucchini Gilera ricorda Simoncelli

Uno dei trionfi di Marco Simoncelli è stato in sella a una Gilera. «Marco mi apparve un ragazzo allegro, concentrato, serio nel lavoro di preparazione, rispettato dai suoi tecnici e innamorato del mestiere che aveva scelto», ricorda Massimo Lucchini Gilera, nipote del fondatore.
«Talento innamorato delle moto»Lucchini Gilera ricorda Simoncelli

Arcore – Uno dei trionfi di Marco Simoncelli è stato in sella a una Gilera. Una 250 con i due anelli incrociati impressi sulla carena e il numero 58 stampato sul cupolino. Era il 2008. E a distanza di quattro anni, quando il 23 ottobre 2011 SuperSic è morto in un incidente sul circuito di Sepang, il pensiero di tanti appassionati è tornano indietro nel tempo. Anche nel caso di Massimo Lucchini Gilera, nipote del commendator Giuseppe che il mito Gilera l’aveva creato.
«Da ben oltre quarant’anni non frequento più i boxes delle gare di moto, pur seguendole con immutato interesse sui mezzi di informazione – ha ricordato Lucchini Gilera, rispondendo alla richiesta di un commento – vi è stata tuttavia un’eccezione: nel maggio 2009 passai al Mugello durante le prove del Gran Premio, per salutare Giampiero Sacchi che mi invitò a visitare il box della Gilera. Volevo conoscere e ringraziare Marco Simoncelli, campione del mondo su Gilera 250 nel 2008. Certo, come nel caso di Poggiali nel 2001, quella Gilera non aveva nulla a che fare con le moto degli anni ’50, se non lo stesso marchio e la vernice che copriva degli eccellenti mezzi di ben altra origine: ma era comunque entusiasmante rivedere il nome Gilera sul gradino più alto».

Lì, il primo incontro con Simoncelli. «Trovai Marco occupato con il suoi tecnici a studiare strategie e controllare i dati raccolti nel corso delle prime prove – ha continuato – mi trattenni pochi minuti, ben sapendo che in quei frangenti il tempo per tecnici e piloti è prezioso. Gli regalai il libro sulla Gilera, facendogli i miei sinceri complimenti: avvertii una piccola punta di delusione quando mi resi conto che, della “vecchia” Gilera, Marco non sapeva nulla. Ma passò subito, questi ragazzi – ragionai – vogliono giustamente avere un mezzo vincente con una ottima squadra alle spalle, la marca della moto è meno importante. Conservo, di quel breve incontro, un’impressione molto positiva: al di fuori degli aspetti più coreografici, accentuati in questi ultimi due anni, Marco mi apparve un ragazzo allegro, concentrato, serio nel lavoro di preparazione, rispettato dai suoi tecnici ed innamorato del mestiere che aveva scelto, insomma, molto professionale».

E poi. «Emergere in motoGP è assai difficile: il suo talento era indiscutibile, ma l’irruenza doveva essere controllata da un paziente lavoro di affinamento e di esperienza. Così stava accadendo e senza dubbio stava trovando la strada verso i gradini più alti del podio. Al di là delle molte polemiche che hanno accompagnato alcune delle sue gare, l’affetto ed il rispetto di amici ed avversari, ora che non c’è più, è la migliore risposta alle troppo affrettate critiche e trovo giusto che i suoi colleghi-avversari lo commemorino continuando a correre. Così è sempre stato nel mondo delle corse. Certo, Marco mancherà a tutti, a noi appassionati, agli altri piloti, al motociclismo, chissà quali traguardi avrebbe potuto raggiungere, facendoci sognare. Ma è forse un destino ed un privilegio dei grandi rimanere incompiuti».
Chiara Pederzoli