Nova Milanese – (11 novembre 2007) Due anni e dieci mesi alla sexy prof, la 33enne molisana Gerardina D’Elia, accusata di aver molestato sessualmente cinque studenti tra i 12 e i 15 anni delle medie Segantini di Nova Milanese.
La sentenza del gup monzese Giovani Gerosa è arrivata ieri pomeriggio. Il giudice ha sancito anche l’interdizione dai pubblici uffici per la prof, mentre, relativamente ai risarcimenti a favore dei minori, sarà eventualmente il tribunale civile a deciderli. Pena più alta dunque di quella richiesta dal pm Emma Gambardella, che aveva chiesto due anni e due mesi.
L’udienza è cominciata ieri mattina: dopo l’ammissione al rito abbreviato (scelta che, come previsto dal codice, ha comportato l’esclusione del ministero della pubblica istruzione in qualità di responsabile civile, come avevano chiesto gli avvocati di parte civile) e le conclusioni di accusa e parti civili, è toccato alla lunga requisitoria dei difensori.
Lo scandalo della supplenza “a luci rosse” risale ai primi di novembre dell’anno scorso. A scoprire la supplente in atteggiamenti definiti “inequivocabili” con cinque studenti, era stata una collega della donna che insegna educazione fisica nello stesso istituto, e che per caso era entrata nell’aula dove si sono svolti i fatti.
Secondo il racconto della donna, al suo ingresso le persone presenti in aula sarebbero rimaste letteralmente impietrite. Dopo la denuncia presentata ai carabinieri della compagnia di Desio da parte dei genitori dei ragazzi, era esploso lo scandalo che aveva travolto la donna, molisana originaria di Pietracatella, un borgo di 1.600 abitanti sulle alture che dominano Campobasso, al suo primo incarico di insegnante di matematica.
Dopo il fatto, gli inquirenti sono risaliti a una telefonata che l’insegnante aveva fatto sul cellulare del ragazzino maggiormente coinvolto nella vicenda. Una chiamata per chiedere al giovane che versione avesse dato dell’accaduto. Una riprova del fatto che tra la supplente e uno degli studenti c’era in corso una forte simpatia, tanto che l’insegnante era in possesso del numero di telefono dell’alunno.
L’imputata, nel corso dell’inchiesta, si era difesa davanti al procuratore capo Antonio Pizzi, che aveva curato il caso assieme al pm Emma Gambardella, sostenendo di essere stata lei “costretta a fare certe cose” dai ragazzi. In particolare, sarebbe stata spintonata e minacciata fisicamente e quindi sarebbe stata lei a quella che ha dovuto subire le violenze.
Gli inquirenti però non le hanno creduto, dando credito invece alle versioni degli studenti, e perciò le hanno contestato anche l’accusa di calunnia. A proposito di quest’ultimo reato, i difensori di parte civile hanno rimarcato la «gravità del fatto che un’insegnante getti in questo modo discredito sugli alunni: è un reato che ha dato particolarmente fastidio», ha commentato l’avvocato Maurizio Bono, uno dei legali di parte civile.
Il difensore della molisana, Giuseppina Cennamo, ha annunciato ricorso in Appello: «Non ci sono prove sufficienti a dimostrare alcun reato».
Federico Berni