Arcore-Concorezzo – La furia che non ti aspetti, perché sai che se il cielo si arruffa d’estate, allora sarà temporale: e sarà vento, che fa luccicare il dorso delle foglie sugli alberi, e pioggia e magari grandine. Ma questo è altro. Terribile, improvviso, tragico: una fitta fila di aggettivi girano nel vortice del più devastante tornado a ferire il vimercatese a memoria d’uomo. Girano insieme ai respiri sospesi dallo spavento, diventati oggi un ricordo lungo dieci anni. Restano, insieme agli aggettivi, i nomi: quelli dei paesi sul passo distruttore della tromba d’aria e dei testimoni – alcuni drammaticamente diretti – di quella mezz’ora in cui il cielo sembrava voler risucchiare la terra. E poi le immagini, come le fotografie ingrandite e appese all’ingresso dell’ufficio di polizia locale di Usmate Velate, in cui non si distingue la trama lineare dei capannoni della zona industriale. Come una parentesi aperta e chiusa sul caos.
Era il 7 luglio del 2001. Giornata d’estate fin quasi alla noia: il cielo grigiastro, la cappa d’afa e a guardare in alto qualche squarcio di azzurro. Solo che da qualche giorno arrivano dall’Europa le notizie di una brutta ondata di maltempo, la stessa che infila, verso l’ora di pranzo, la sua aria fredda sotto il coperchio dei trenta gradi brianzoli. Dieci anni dopo, gli occhi che allora furono tra i più vicini al tornado guardano avanti e la voce di Laura Galbusera – che il 7 luglio 2001 era una studentessa universitaria di 23 anni – racconta: «Non ci si pensa più. È chiaro che quel che è stato ci sarà sempre, ma ora voglio vivere ogni giorno con questa grande gioia».
Lo dice mentre il silenzio al telefono è rotto dal pianto di un bambino. «È nato lo scorso 12 aprile. Il prossimo luglio festeggerò due anni di matrimonio con Marco, che è mio marito e allora era il mio ragazzo. Devo dirgli grazie, per il suo grande appoggio, perché senza, non so come avrei fatto. Tutto si è sistemato benissimo, ma è stata dura». Quella mattina del luglio 2001, Laura Galbusera era alla guida della sua auto, quando la tromba d’aria l’ha investita e sbalzata fuori strada. «È stata molto dura. Mi ha colpito il viso – racconta – ed era davvero difficile guardarmi allo specchio. Poi gli interventi, faticosi e dolorosi». Se si ricorda qualcosa, di quegli istanti: «Nulla. O meglio, quello che mi è stato raccontato dagli altri e da chi mi ha soccorso. Ho perso conoscenza e mi sono risvegliata dieci giorni dopo in ospedale, anche se già sognavo di esserci».
Insieme a Laura Galbusera, di Lomagna, restò ferita gravemente, quel giorno, a Concorezzo, anche un’altra donna, la 73enne monzese Giovannina Biscardi; almeno un’altra cinquantina soccorsi e medicati in ospedale, tra cui gli operai della Unimec di Usmate Velate, una delle ditte duramente danneggiate dal tornado. Le cronache conservano i numeri del disastro, dei centocinquanta costretti a lasciare case cui la forza della tromba d’aria aveva strappato infissi, tetti e scagliato contro oggetti e detriti di ogni genere, con la forza di proiettili; danni per decine di miliardi (di lire).
Era il 7 luglio del 2001. La furia del vento, della pioggia della grandine (a Monza chicchi di tre centimetri di diametro) comincia alle 12.20 e si attenua solo alle 12.45: nel buio quasi improvviso, la temperatura si abbassa e il vento arriva a soffiare a cinquanta chilometri orari (nel cono della tromba raggiungerà i 300). Il tornado F3 che si spegnerà nella zona del golf di Usmate Velate, si muove verso nord dal Malcantone di Concorezzo, verso la dogana e la zona industriale dove si solleva dal suolo, per riatterrare tra Arcore e Oreno, attraversando Bernate e poi poco oltre, il confine con Usmate. Un colpo di rasoio sul Vimercatese, ha scritto qualcuno in quei giorni.
Letizia Rossi