Monza – Quando era un bambino e giocava con le macchinine pensava e sognava di essere Tino Brambilla. Un mito, un’istituzione che, da lì a qualche anno sarebbe diventato per lui maestro, datore di lavoro e poi amico e compagno di avventure motoristiche. Era scritto nel destino di Peo Consonni ex pilota, meccanico e oggi docente di tecnologia e meccanica a Calolziocorte, quello di incontrare e diventare un grande campione al fianco del suo idolo.
“Cresciuto a Monza a motori ed Autodromo era naturale che fin da piccino mi appassionassi a Tino Brambilla – ha ricordato – Non mi perdevo una sua gara e feci carte false per andare a lavorare da lui”. Non fu certo una passeggiata: lavorare con Tino voleva dire fatica, sudore, rimproveri e anche qualche sganassone, non sempre accolti con favore da un giovanotto di vent’anni con tanti sogni da realizzare. “Ma ne è valsa la pena e a chi lo definisce un uomo rude e scontroso, io rispondo che Tino Brambilla è il più grande talento dello sport motoristico italiano – ha continuato – Il mago Merlino delle corse che in tutti questi anni mi ha insegnato, non tanto i segreti del mestiere, quanto invece a lavorare e a correre con la testa”.
Numerosi gli aneddoti legati agli anni dell’officina e delle corse, che ancora oggi ogni settimana si arricchiscono con incontri e chiacchierate nell’officina di Consonni e Tino, ormai brizzolato, lo rimprovera se alle otto del mattino non è ancora in piedi. “Sono sempre stato un ritardatario – ha continuato – E anche se ho quasi sessant’anni mi sgrida per questo difetto”. Ma il grande pilota monzese per Consonni è, oltre che un maestro e un amico anche un padre. “Rimasi orfano poco dopo che andai a lavorare da lui – ha continuato – E più di una volta mi ha fatto da padre. Ma la cosa più bella è che, fin da subito, malgrado tutto lui, e il fratello Vittorio hanno creduto in me, hanno visto lontano, nelle mie possibilità”.
Ha sgobbato parecchio nell’officina dei Brambilla, spedito anche all’estero di gran fretta per completare una macchina prima della gara. In quelle mura ha imparato i segreti del mestiere, ha assaporato i primi rombi di motore uditi non solo da meccanico ma anche da pilota, al fianco del grande Tino. “Non finirò mai di ringraziarlo perché mi ha dato la possibilità di fare il collaudatore, di gareggiare in Formula 3, di condividere gioie e dolori di questo lavoro – ha proseguito – Mi ha insegnato a stare con i piedi per terra, a coltivare comunque i miei sogni, ricordandomi però che di Formula 1 non si vive, ma che la pagnotta si porta a casa lavorando con le automobili di serie”.
Ma soprattutto gli ha trasmesso l’amore autentico per questo mestiere. “Mi ricordo che ogni giorno in officina Tino mi ripeteva che il nostro lavoro è come quello del chirurgo – ha aggiunto – Così come un medico cura e opera con la stessa passione e attenzione a prescindere i suoi pazienti a prescindere dalla loro età, così noi dobbiamo avere la stessa cura e attenzione nel sistemare una vettura, sia che ci troviamo di fronte a una Cinquecento che a una Ferrari da Formula Uno”.
Barbara Apicella