Luigi Santucci è il romanziere cattolico che vinse il Premio Campiello nel 1967 con il libro “Orfeo in Paradiso” e persino Benedetto Croce ebbe modo di apprezzarne le qualità della sua tesi la laurea (“lavoro acuto e accurato” in La Critica, 1943) quando lo scrittore italiano si laureò in Lettere a Milano all’Università Cattolica con un lavoro (discusso con Mario Apollonio) sulla letteratura per l’infanzia.
Oggi continuano le celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore italiano Luigi Santucci (1918- 1999) che elesse una sua seconda patria, dopo Milano, proprio in Brianza (a Cassago Brianza), luogo che dette a lui modo di mettere a fuoco nel volume “Brianza in mongolfiera” (prima uscito con il titolo “Brianza e altri amori), titoli che segnano bene il filo diretto di cosa volesse significare per lo scrittore lombardo questo territorio indimenticabile. Proprio in questi giorni poi il Comitato nazionale per le celebrazioni – in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il Liceo Artistico Brera, la “Scuola del Libro” di Urbino, l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, la Fondazione Carlo e Marise Bo, l’Associazione IFA International Future Arts, l’Associazione Carlo Bo di Urbino – hanno presentato la mostra “Luigi Santucci: dal romanzo alla letteratura per ragazzi”.
La mostra si tiene nello storico liceo artistico statale di Brera a Milano, perché lo scrittore qui fu docente negli anni Cinquanta del Novecento di lettere italiane al liceo artistico annesso all’Accademia di Brera. L’esposizione presenta una vasta produzione letteraria, che si avvale di pannelli descrittivi e documenti, si articola nell’esposizione dei romanzi, saggi, racconti, fino ad approdare alla letteratura per ragazzi. I racconti, editi e inediti di Luigi Santucci, sono interpretati da circa 50 studenti della “Scuola del Libro” di Urbino. L’esposizione creativa si compone di tre collane editoriali e altre produzioni libere, articolate nella produzione di 33 libri e di 15 libri-scultura.
Nell’ambito dell’esposizione viene proiettato il documentario Luigi Santucci: scrittura come vita di Luca Scarzella e Giorgio Tabanelli. Ecco un pensiero inedito dello scrittore italiano: “Perché scrivo? Scrivo per ringraziare le cose (certe cose: i giardini pubblici,le Dolomiti, Cristo) Natale, delle grazie che mi hanno dato. Per gratitudine. Scrivo per trattenerle il più a lungo possibile nel cerchio della vita, della memoria, della gratitudine” (Luigi Santucci). Queste parole inedite, incisive, di uno scrittore cattolico, quale egli è stato, ci consegnano il “Cristo di Santucci”, la cui fantasia letteraria non si è lasciata catturare dalla severità della teologia, ma ne ha colti i fiori e messo a nudo le radici, consegnandoci testi di alta letteratura da “Orfeo in Paradiso” a “Volete andarvene anche voi?”.
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Santucci che è stato scrittore di una certa dimensione culturale e spirituale, ha maturato la sua vocazione letteraria, portandosi dietro la risposta di Pietro a Cristo: “Dove andremo Signore?”; perché Cristo non poteva non essere per lui termine di riferimento delle sue indagini sulla storia, di ogni sua domanda sull’uomo, di ogni escavazione sua nella miniera del proprio io profondo. Devo aggiungere che anche il Comune di Milano ha intitolato il giardino di piazza del Tricolore allo scrittore Luigi Santucci, in occasione dei cento anni dalla sua nascita; nel corso della cerimonia, a cui hanno partecipato un centinaio di persone, la moglie Bice Cima e i loro quattro figli, ha preso la parola, tra gli altri, l’assessore comunale alla Cultura Filippo Del Corno, riannodanto quei luoghi e quel quartiere dove visse Luigi Santucci prima di andare a vivere in Brianza.
Ebbene, avendo conosciuto bene Luigi Santucci, conoscendo i suoi mirabili capolavori scritti, romanzi che gli valsero premi di rinomanza internazionale, ho voluto in questo scritto soffermarmi su un volume mirabile riguardante la Brianza; ha per titolo “Brianza in mongolfiera”( Meravigli, Milano, 2020, pp. 184). Il volume (pubblicato da Rusconi, in prima edizione, nel 1981 con il titolo “Brianza e altri amori”) contiene una raccolta di 48 disegni “brianzoli” del pittore Camillo Cima, suocero di Luigi Santucci, che li realizzò già nonagenario. Il libro tratta di una “fuga” in Brianza, del milanesissimo Luigi Santucci, che si lascia guidare da un “vecchietto, spesso sbronzo, ma sempre lucido”, “ol Picch”, un uomo senza tempo, un “Virgilio brianzolo”, sorvolando, a bordo di una poetica mongolfiera (che funge anche da macchina del tempo), stupendi paesaggi e luoghi ricchi di storie e favole.
Un atto d’amore verso le proprie radici, alla ricerca di un “paradiso” per lo più perduto, sul filo della memoria e del sogno. Un libro le cui pagine “stanno tra la storia e la mitologia, la vita vissuta e una scatenata immaginazione” e sono “popolate da tutti i grandi, da Stendhal al Manzoni, dal Parini a Sant’Agostino, che in Brianza nacquero, vissero o semplicemente passarono”. Santucci ci narra di San’Agostino nato a Tagaste più di millecinquecento anni fa, Vescovo d’Ippona, dottore dottissimo della Chiesa, filosofo, romanziere, ma anche … brianzolo per alcuni mesi (e con un gusto matto) nell’autunno del 386 d.C.
“Cassago. Ci volavo sopra; e intenzionalmente, in appendice a quel mio periplo cristiano della Brianza, Cassago, cioè Cassiciaco, a dargli il suo nome latino, romano, agostiniano, che pare a pronunciarlo un’antifona di canto fermo. Fu proprio qui che soggiornò quel grandissimo? Oh sì, perbacco, m’assicura il presidente della locale associazione storico-culturale S. Agostino. Più nessun dubbio. Se mai fu quel guastafeste, disinformato e pasticcione del Manzoni don Alessandro (gli aggettivi sono miei, ma lo spirito indignato dei cassaghesi certo me li approverà) a sviare un giorno le piste, dando una risposta a vanvera a uno studioso che gli aveva rotto le scatole sulla questione di Cassiciaco, col rispondergli che per lui il rifugio di Agostino era stato un certo Casciago nel varesotto, Non ci fosse stata quella papera, forse l’incertezza mai sarebbe nata. Strani casi della storia! Proprio l’Omero brianteo don Lissander che rischia di depredare la Brianza della sua massima gloria archeologico-turistica: l’aver ospitato Agostino. Buon per tutti che non si sia venuti a botte fra Brianza e varesotto per questa santissima «secchia rapita». E sentite ancora che parole sublimi: “Che cosa di più somiglia sulla terra al paradiso ? La Brianza, no? E Agostino, dunque, ne scrive quel che sopra abbiam letto. Ecco il soIligismo irrefragabile, ecco la certa conferma che qui il grand’uomo ha soggiornato. Di cos’altro, infine, può trattarsi – nelle espressioni che ho riportato – se non proprio e onninamente della Brianza, e di questa Brianza cassaghese, più verde che altrove?”.
Santucci amò la regione, o sotto-regione, compresa tra Monza e Lecco, tra i piccoli laghi a sud di Como e l’inizio della pianura: “Il Mito o il Segreto – o la Favola se preferite – di questo scaleno triangolo inscritto fra Lecco, Monza e Como, di questo ‘mirabile giardino naturale’”, come scrive Carlo Linati, è celato nella sua stessa idea, che è ancor più complicata del suo etimo e dei suoi confini, e che corrisponde a quello che Santucci chiama Regnum Brianteum, rispetto al quale modestamente ammette: “Non so tutto sulla Brianza. Magari! So quel tot che basta (e ignoro quel tot che basta) per amoreggiarla e pettegolarne al di là del suo obiettivo esistere geografico e storico”.
Brianza terra di imprenditori, di fabbrichette, di mobilifici, di ferrovie, automobili e motociclette (il suo denso traffico quotidiano, e l’evento del Gran Premio di Formula 1; ad Arcore la Gilera e, poco lontano, in quel di Mondello, la Moto Guzzi) ma anche del parco cintato ancora più grande d’Europa (quello della Villa Reale di Monza, creato dai francesi, reso florido dagli austriaci, abbandonato dai piemontesi, e poi mero deposito per gli “alleati”).
E Santucci aggiunge anche il racconto di come la Gioconda di Leonardo sia come la Vergine delle rocce un dipinto brianzolo, e non toscano, ci parla infatti di un enigma della Brianza, il quale gli fa pensare a quella della Monna Lisa del “vinciano Leonardo, che di qui ci passò, sappiamo, ed ebbe a incantarsi […]. Forse è vero allora che proprio qui, ospite di Ludovico il Moro al castello di Trezzo d’Adda, lui avrebbe cominciato a dipingere il sibillino sorriso di Monna Lisa del Giocondo; e in tal caso hanno ragione coloro che, nello sfondo del quadro, riconoscono la veduta che si godeva da quel luogo. Scruto il capolavoro, ne spio con batticuore lo sfondo: quei monticini cretosi, la serpeggiante strada e il fiume a cascatelle (l’Adda?) attraversato dal ponte ad archi dietro le spalle della Bella; più oltre quelle frastagliature verdeggianti di selve. E guardo lei, la Gioconda: eccola, forse, la Brianza, incarnata, personificata”.
E nel libro sulla Brianza, Santucci aggiunge mille “altri amori”, tutti da conoscere. Brianza di scrittori villeggianti ma anche in viaggio, di passaggio, kerouachianamente on the road, valga per tutti il teologo veronese-tedesco Romano Guardini, le cui “Lettere dal lago di Como” valgono più di Spengler e Heidegger, sulla decadenza europea, e che ha confessato d’aver capito Hölderlin in Brianza.
Carlo Franza
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Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza- Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.