Monza – «Sa cosa le dico? Che tutto quello che sta succedendo oggi, il processo Eternit di Torino o quelli contro la Pirelli, sono frutto delle battaglie condotte nelle fabbriche venti anni fa. Le battaglie che aveva iniziato mio marito». Antonia Tansella è la moglie di Giambattista Tagarelli. O meglio, è la vedova Tagarelli, visto che un linfoma si è portato via Giambattista nel 1999, all’età di 55 anni. Antonia oggi vive a Monza, in via Cavallotti. Da tredici anni Giambattista non c’è più. Ma le sue battaglie contro l’amianto non si possono dimenticare. Perché di questo si tratta: morire di lavoro. Morire per l’amianto inalato, respirato, mangiato, assorbito durante i massacranti turni di lavoro nelle grandi fabbriche.
Operaio in Breda – Tagarelli è stato uno dei primi operai in Italia, sicuramente il primo alla Breda, la grande azienda siderurgica di Sesto San Giovanni, a denunciare le gravissime condizioni igienico-sanitarie in cui operavano gli operai delle grandi fabbriche, come quella dove lavorava lui. La Breda. Una storia simile alla Falck. O alla Pirelli. Gli operai lavoravano, vivevano otto e più ore al giorno in mezzo all’amianto. Giambattista c’era entrato nel 1973 alla Breda, all’età di 29 anni, appena salito dalla Puglia. E c’è rimasto fino alla fine, nel 1999.
«Lavorava nel reparto aste della Breda divisione fucine – racconta la moglie Antonia -. Era in mezzo all’amianto. Era un caposquadra, sa? Doveva far funzionare un macchinario che proveniva dall’America. Là l’avevano venduto perché c’era l’amianto e faceva male. L’abbiamo comprato noi in Italia. E mio marito lavorava su quel macchinario. Quando i dirigenti hanno capito che l’amianto faceva male, gli davano mezzo litro di latte da bere ogni giorno. Ecco la loro ricetta. Mezzo litro di latte».
Formicai di morte – Negli anni ’70 la Breda, ma anche la Falck e la Pirelli sempre a Sesto San Giovanni, erano dei formicai di operai. Città nella città. Attiravano manodopera da tutta la Lombardia. Brianza compresa. C’erano decine di migliaia di operai che arrivavano ogni giorno nelle fabbriche a piedi, in bicicletta oppure in treno. Tutti con il sogno di avere un posto di lavoro sicuro e fisso. Per mettere su casa, per sposarsi. Senza rendersi conto che ci si ammalava sempre più, giorno dopo giorno.
«Fin da subito tanti colleghi di mio marito si ammalavano – racconta ancora Antonia -. Si ammalavano e morivano. Mi ricordo di Franchino, che si è ammalato improvvisamente ed è morto. Neanche i medici sono riusciti a stabilire quello che aveva. Se n’è andato e basta». Decine di colleghi, di amici, nel corso degli anni se ne sono andati. Poi, all’inizio degli anno Novanta, si ammala anche Giambattista. Il male, ormai dentro di lui, fa emergere i primi dubbi.
«Ha incominciato a capire che il lavoro faceva male – ricorda la moglie -. Ma nessuno, all’inizio, ha mai preso in seria considerazione mio marito. Tutti gli hanno chiuso le porte in faccia. La politica non lo ha mai aiutato. Nessuno lo ha mai aiutato nella sua denuncia. Almeno all’inizio era solo. E’ stato insultato per quello che diceva, che il lavoro stava uccidendo tutti. Si moriva in continuazione, ma nessuno gli credeva. E lui portava l’amianto anche in casa».
Colleghi contro – Oltre al male, Giambattista Tagarelli ha dovuto combattere anche contro la diffidenza e l’ostilità dei colleghi, dei sindacalisti che lo accusavano: «Tu vuoi rovinare la Breda ». Addirittura l’azienda lo ha messo in cassintegrazione per sei mesi. Troppo forti le accuse d’insalubrità del posto di lavoro per passare sotto silenzio, almeno per i vertici aziendali. «I sindacalisti dalle parte dei lavoratori? Solo un detto – mastica amaro la moglie -. Se ci ripenso a come lo hanno trattato, mi sento ancora male. Nel 1999 è morto. Quello che succede oggi, la coscienza che di lavoro si può morire, c’è anche grazie a uomini come mio marito. Lui, prima di tutti, aveva capito cosa stava succedendo. Che l’amianto uccideva ».
Davide Perego