Finché non sia ”Sangue al cuore”L’anatomia del noir di Cafaggi

Si intitola ''Sangue al cuore'' ed è il secondo romanzo di Stefano Cafaggi. Una ragazza scomparsa, anzi due, un cadavere in una chiesa, un alibi in più per una sete di potere e denaro. E tante persone in fuga, da sé e dagli altri. Si tratta di un noir, senza appello. Anzi, dell'anatoma del noir.
Finché non sia ”Sangue al cuore”L’anatomia del noir di Cafaggi

Monza – Magari bisogna digerire “La vita è adesso” di Claudio Baglioni, poi si viene ripagati dalla “Musica ribelle” di Finardi e dai Cccp, da George Harrison e dalla sua “Devil’s radio” o dai Sex Pistols, che come diceva Springsteen solo pochi mesi fa non è che scandalizzavano, allora: facevano paura, paura vera. E poi i Birds, i Beatles, Wagner e gli Stones, Madonna e gli Wham.
Bisogna avere un ritmo nelle vene per sentire cantare “Sangue al cuore”, il romanzo del ritorno di Stefano Cafaggi alla scrittura dopo l’esordio – e il successo – di “Senza ritorno”, pubblicato da Robin nel 2009. Il lentatese questa volta ha deciso altro: ha deciso che era tempo per essere senza compromessi e quel libro che aveva in mente lo voleva così, sincopato, stratificato, andate e ritorni, le scelte grafiche che raccontano tanto e quanto il contenuto dei grafemi. E allora ha fatto da sé: si è pubblicato qualche settimana fa “Sangue al cuore” da solo, mettendolo su lulu.com e su amazon.com, piattaforme da cui è possibile scaricarlo per ereader o farselo spedire casa in carta e ossa.
Quasi trecento pagine di buio e noir con colonna sonora che raccontano di una spirale di sangue (al cuore e non solo) che inizia e finisce attorno a un punk inglese che un giorno, spedito in Italia per riabilitarsi (ma rehab no, no, no avrebbe detto anni dopo Amy Winehouse) finisce per trovarsi complice involontario della menzogna, di un omicidio e della sete di potere di una donna con meno scrupoli che parole. Domani, 7 dicembre, due anni fa: il 2010. C’era Wagner ad aprire la stagione della Scala di Milano con le Valchirie e sarà ancora il tedesco, quest’anno, a inaugurare il palco del più importante teatro lirico del mondo. Ma due anni fa, almeno in “Sangue al cuore”, la donna con meno scrupoli che parole stava chiudendo definitivamente in un dossier le colpe di una vita, dopo averle seppellite in una sequenza di morte lunga più o meno trent’anni.
Non è lei e non è il punk inglese il motore del romanzo di Scafaggi: il punto di fuoco si chiama Andrea Sperelli e con il dandy di D’Annunzio condivide solo il nome. Investigatore privato per incapacità o mancanza di volontà di essere altro, è lui a partire a caccia di una donna scomparsa decenni prima, a bordo di una Porsche guidata per caso, trovando ancora per caso dentro un groviglio di inganni e di parole dette a mezza bocca la chiave di volta della soluzione definitiva per altri e del principio della fine per sé, proprio dove la verità cercata è solo una tessera di un più grande, vasto e inesorabile mosaico di menzogne.
Non vincerà lui, costretto dai suoi fantasmi a prendere il posto di chi i propri non sa più affrontarli, ma vincerà ancora una volta -se di vittoria si tratta- chi ha passato la vita a tessere una tela di cinismo attorno a chiunque stia attorno. E’ un noir, un noir etimologico, anzi l’anatomia di un noir, il secondo romanzo di Scafaggi: l’immersione a peso morto dentro un abisso che è chiaramente, senza equivoci, inevitabile. Sul binario direttissimo di una fuga. Il noir europeo, anzi francofono: quello della trilogia di Léo Malet o di “Sputerò sulle vostre tombe” di Boris Vian, prima ancora di Ellroy o Scerbanenco. C
on un abisso che il protagonista dal nome dandy e il destino dannato affronta con l’ostinazione di chi sa come andrà finire. Eppure. Eppure se salta il meccanismo della suspance polar, se il testo non obbedisce alla legge del fuoco d’artificio, della macchina di scena, “Sangue al cuore” non rinuncia alla morbosa attrazione del male e delle sue coseguenze. Che siano nelle mani di chi vince o di chi perde. Perché si tratta di un blues in forma di prosa: di un destino segnato, e, proprio per questo, fatalmente seducente. E nel caso li cercaste, i buoni no, non ci sono.
Massimiliano Rossin