Monza – Place du Tertre è un quadrilatero incastrato all’ombra del Sacré Coeur. Uno sguardo più in alto raggiunge il biberon della cupola e uno più in basso insegue il dedalo di viottoli che arrivano inerpicandosi lungo i fianchi della butte Montmartre. È icona dell’arte da un secolo a questa parte, come icona di cultura è Parigi da centinaia di anni. Camminarci oggi vuol dire andare spalla a spalla con centinaia di turisti che inseguono il mito della Belle époque e con loro marciare spalla a spalla, anzi, corpo a corpo, scavalcando camerieri dal grembiulone filologico che riversano tonnellate di moules frites tra i tavolini all’aperto o una batteria di pittori schierati a vendere qualche centimetro quadro di pennellate: souvenir non troppo diversi dalle cartoline o da un berretto basco. Di tutto questo, nella place du Tertre di Aldo Damioli, non resta nulla.
La piazza è sgombra e il reticolo degli alberi anche, niente turisti, nessun tavolo, solo il profilo immediato e iconico dell’architettura haussmaniana che dice di sé, da sé, “io sono Parigi”. Più reale del reale, quanto basta per non essere vera: il miraggio di una città idealizzata – o forse la città ideale – fatta di dettagli enciclopedici e della rappresentazione di un bagaglio culturale sedimentato. Una visione, forse, che al tempo stesso è a tal punto vera da essere falsa e così falsa da essere inequivocabilmente vera. È Parigi nell’immaginario comune, un gioco di specchi che di riflesso in riflesso pulisce l’immagine: lo stesso ripetuto in place Chaillot sotto le geometrie del Trocadéro, in una salita di prima neve forse sulle anse di rue Lepic o nei campi di Marte. È questa la Parigi che Damioli presenta alla galleria MarcoRossi, in una serie inedita – soprattutto tele e qualche disegno su carta – con cui l’artista milanese continua a percorrere le strade delle città del mondo.
«Damioli prosegue con scrupolo la sua doppia indagine – dicono gli organizzatori annunciando il primo evento espositivo autunnale della galleria – quella sulle città e quella sullo stile della pittura. Due viaggi – uno geografico, uno formale – che si svolgono paralleli e costanti nella carriera dell’artista. Di ogni luogo, Damioli esplora lo stereotipo culturale e visivo, per poi raffinarlo attraverso uno specifico codice di figurazione». Se per VeneziaNewYork il repertorio erano Canaletto e i vedutisti veneti, e se per Milano erano le luci di fari e lampioni, per Parigi «l’iconografia è sconfinata: dalle rappresentazioni da cartolina a quelle più patinate, la città da secoli è pervasa da un’aura di romanticismo cui non è facile sfuggire, e che infatti l’artista cattura ed enfatizza, con sottigliezza e ironia».
Allora Magritte per la sospensione dell’atmosfera o da Peynet il carattere universalmente romantico della città, ma anche l’opportunità, per l’artista, «di misurarsi ancora una volta con luoghi comuni diffusi nella cultura popolare del Novecento ». E ancora: «La città che si sveglia all’alba, oppure i tetti bagnati dopo la pioggia, il cielo al tramonto, o anche le strade su cui comincia appena a nevicare: in sintonia con la Parigi del cinema e della letteratura, i dettagli paesaggistici scelti dall’artista servono a produrre nell’osservatore un inedito effetto sensoriale, più che cerebrale o simbolico». Con qualche ammiccamento ironico, forse ancora magrittiano: perché a place du Tertre manca proprio la sua fenomenologia icastica, quella bolgia bulimica di artisti assiepati su una piattaforma di macadam. Damioli il pittore, all’icona dell’arte, toglie prima di tutto loro: i pittori.
Aldo Damioli vive e lavora a Milano. Dopo la personale alla galleria MarcoRossi (fino al 29 ottobre, via Vittorio Emanuele 44, da martedì a sabato 11-13 e 15-19) sarà ancora protagonista a Monza a febbraio, in una doppia personale con Marco Petrus al Serrone della Villa reale. Nato nel 1952, nel 1999 è stato tra gli artisti invitati alla tredicesima Quadriennale d’arte di Roma,mentre nel 2000 ha partecipato a “L’altra metà del cielo” al Rupertinum di Salisburgo, mostra passata un anno dopo al Gam di Bologna e quindi a Budapest.Nel 2007 è stato invitato a “Nuovi pittori della realtà” al Pac di Milano, ad “Arte italiana 1968 – 2007 pittura” a Palazzo reale e quindi a “La nuova figurazione italiana”.
Massimiliano Rossin