Monza – Mentre parla gesticola, muove continuamente la mano sinistra, se la porta al mento, nasconde la bocca. Nulla di sorprendente se a parlare non fosse Carla Mari, la prima donna in Italia ad essere stata sottoposta ad un doppio trapianto di mani. La notte che le ha cambiato la vita è stata quella tra l’11 e il 12 ottobre dell’anno scorso, in una sala operatoria del san Gerardo di Monza. Ad operarla c’era Massimo Del Bene, direttore della Chirurgia Plastica e ricostruttiva dell’ospedale monzese che le è accanto anche adesso, mentre racconta i piccoli progressi di questi dodici mesi senza protesi.
«Volevo tornare ad abbracciare i miei figli, adesso riesco anche a dare dei bei pizzicotti. Mi sono emozionata la prima volta che in chiesa ho fatto il gesto della pace, un gesto semplice,ma quando avevo le protesi leggevo molto imbarazzo negli occhi della gente, ora non più». Senza contare che ora riesce a sollevare piccoli pesi, prendere la bottiglia dell’acqua a tavola, afferrare il telecomando , digitare un numero sul telefonino, pettinarsi e lavarsi da sola. I progressi nei movimenti e nella sensibilità delle mani di questa donna della provincia di Varese, costretta a subire l’amputazione di mani e piedi nel 2007 a causa di una grave infezione, sono stati registrati grazie ad una risonanza magnetica funzionale che localizza le varie funzioni del cervello nell’esecuzione di piccoli movimenti o sfiorando le mani con uno spazzolino. «Dalle immagini realizzate a quindici giorni dall’intervento e nei giorni scorsi- ha spiegato ancora il chirurgo Del Bene- possiamo capire che c’è già stato un recupero di oltre il 25% della funzionalità delle mani. La mano destra è più sensibile della sinistra, mentre la sinistra si muove meglio, ma i progressi sono continui».
C’è un altro aspetto positivo di questo trapianto effettuato nella notte tra l’11 e il 12 ottobre dello scorso anno: «Per la prima volta -prosegue Del Bene – abbiamo utilizzato le cellule staminali prelevate dal midollo osseo della paziente per la loro funzione antirigetto. Le abbiamo iniettate nelle ventiquattro ore successive al trapianto e quindici giorni dopo e abbiamo avuto dei risultati sorprendenti: la paziente è l’unica trapiantata al mondo ad utilizzare solo due farmaci immunosoppressori invece di tre e a dosi molto meno elevate. Questo vuol dire che , seguendo questa strada, in futuro le possibilità di trapianto saranno estese a molte più persone che oggi non possono sopportare le cure antirigetto per i loro effetti collaterali». Intanto al San Gerardo c’è già un prossimo candidato per un nuovo trapianto bilaterale: «Stiamo facendo tutti gli esami necessari – conclude Del Bene- ma si tratta di un percorso molto lungo per valutare oltre allo stato di salute anche il quadro psicologico del paziente che deve riuscire ad accettare i nuovi arti come suoi».
Rosella Redaelli