Brianza fiere, ente o poltronificio?In quindici anni mai una decisione

Quella di Brianza fiere è la storia di un poltronificio che in quindici anni di vita, attraverso tre amministrazioni, non ha mai deciso nulla. Ecco la drammatica relazione della Corte dei conti. Tra progetti, ricapitalizzazioni e stipendi da pagare.
Brianza fiere, ente o poltronificio?In quindici anni mai una decisione

Monza – La relazione della Corte dei conti è un pugno nello stomaco. Sul banco degli imputati finiscono tre amministrazioni comunali di differente colore politico: quelle guidate da Roberto Colombo, Michele Faglia e Marco Mariani. Che hanno voluto, sostenuto e gettato centinaia di migliaia di euro in quel carrozzone mangiasoldi chiamato Brianza fiere. Una società nata nel 1997 e che, da allora, non ha fatto altro che produrre una manciata di progetti, sempre uno alternativo all’altro, per la costruzione della nuova fiera di Monza, e divorato migliaia di euro per ingrassare gli emolumenti agli organi sociali.

Il documento – Lo hanno messo nero su bianco i magistrati contabili, nell’udienza dello scorso luglio. Nel corso del 2010 Brianza fiere ha fatto registrare una perdita di 28.600 euro; l’anno prima di 29.700 euro. Nel 2009 ha fatto cappotto con 32mila euro di passivo. Insomma, un buco nero. Di quelli che drenano soldi a ripetizione dalle già esauste casse comunali.
Lo stesso collegio dei sindaci del Comune di Monza, che dovrebbe certificare il bilancio comunale, afferma che la società non ha mai avuto alcuna «operatività, non possiede una propria struttura organizzativa ». In 15 anni di attività, non ha mai avviato le operazione di realizzazione dello scopo sociale per la quale era nata, ovvero progettare la nuova Fiera di Monza, «risultando sempre inattiva – si legge nella nota della Corte dei conti – e prolungando sino a oggi la fase di studio e di predisposizione dei documenti amministrativi a evidente riprova della mancanza di un effettivo disegno strategico e imprenditoriale». Però, 15 anni per studiare il progetto della nuova fiera di Monza. Ci hanno messo di meno i Romani a pensare e costruire il Colosseo.

Quanti progetti – I giudici della Corte dei conti avranno quantomeno fatto un salto sulla sedia quando hanno visto che nel capitolo delle “immobilizzazioni” (ovvero gli elementi patrimoniali destinati a essere utilizzati durevolmente) Brianza fiere aveva all’attivo solo dei progetti. Tre, redatti dal 2009 al 2011 e alternativi tra loro.
Addentrandosi poi nella storia recente dell’azienda, i magistrati devono aver pensato che in Brianza si gira ancora tutti con l’anello al naso. Nella relazione del collegio sindacale del 2009, l’organo di controllo registrava la dichiarazione dell’attuale presidente del consiglio di amministrazione, Renzo Ascari, sull’ormai vicino avviamento della nuova fiera. Puntualmente mai avvenuto. Lo stesso Ascari che, poco dopo, nell’assemblea straordinaria convocata per la ricapitalizzazione della società (ben cinque quelle portate a compimento dai soci, per un totale di 452mila euro, di cui 319mila a carico del Comune di Monza), arriva a indicare «l’inizio dei lavori (del nuovo polo fieristico tra viale Sicilia e viale Stucchi, ndr) entro la primavera del 2012, l’ultimazione per il 2013». Parole rimaste tali. Nonostante i 15 anni di vita, Brianza fiere non è mai riuscita a stilare un business plan con la programmazione e la pianificazione finanziaria delle opere di realizzazione del polo fieristico brianteo. Una delle colpe più gravi, per la Corte dei conti.

Un poltronificio – «I costi per i compensi agli organi sociali – si legge, ancora, nella relazione – generano perdite annuali che erodono sistematicamente le riserve e il capitale della società e che, periodicamente, hanno costretto i soci a ricapitalizzazioni. Il valore della produzione è di norma pari a zero». Una pietra tombale su una società che ha vissuto sì momenti di gloria: come nel 2010, quando Brianza fiere ha registrato un saldo positivo. Ma solo fittiziamente, in quanto l’utile è stato generato dall’immissione di liquidità da parte dei soci. Una “mancia” dalla Camera di commercio di Monza per uno studio di fattibilità.
E qui, per i giudici, il Comune di Monza finisce dritto sul banco degli imputati dato che, in quanto socio di maggioranza, non ha adeguatamente «vigilato sulla contiguità della partecipazione (a Brianza fiere, ndr.) ai propri fini istituzionali, esponendosi a continui esborsi privi di ritorno di qualsiasi utilità pubblica». Insomma. Una «gestione non sana» del denaro dei monzesi. Da quindici anni a questa parte. Con giunte di colore diverso.

La mancanza di un piano industriale serio ha generato «una confusione strategico-operativa aggravata dall’orizzonte temporale quindicennale in cui la società non ha mosso alcun passo operativo ». Una condizione collegata anche «all’incapacità di coordinarsi con le amministrazioni locali interessate per individuare l’area su cui il polo fieristico avrebbe dovuto sorgere». E ancora: «Una società controllata dal Comune che si mantiene in uno stato di latenza operativa per 15 anni si traduce in una vera e propria contraddizione ai criteri di efficienza, economicità ed efficacia, e si configura come grave omissione in termini di controllo sulla legalità della partecipazione e degli esborsi finanziari collegati».

Bisognava liquidare – Ce ne sarebbe per ammazzare un toro. Ma il supplizio aggiuntivo è tutto per l’ex sindaco della Lega Nord, Marco Mariani. La decisone di procedere alla ricapitalizzazione della società (l’ultima di un anno e mezzo fa, presa tra l’altro con una delibera di giunta e non, come la prassi avrebbe voluto, con un atto ufficiale del Consiglio comunale) si scontra con quella che la Corte dei conti sancisce essere la «decisione naturale» da prendere, ovvero quella della «liquidazione della società, a fronte dell’ingiustificabile allungamento dei
tempi del progetto e l’assenza di start up». Una società, Brianza fiere, «in cui il rischio e i costi ricadono principalmente sul socio pubblico di maggioranza e che si è rilevata solo una fonte di erogazione di compensi agli organi sociali».
Davide Perego