«Ho deciso di fare un’opera scandalosa, lo farò fino in fondo» disse un giorno d’autunno del 1975 Pier Paolo Pasolini a Dino Pedriali, il fotografo che aveva assistito Man Ray e che sarebbe passato alla storia come l’ultimo ritrattista dello scultore.
Ritratto, sì, ma qualcosa di più: quando l’intellettuale nato cento anni fa, il 5 marzo del 1922, scelse il romano allora 25enne per scattare le immagini che avrebbero dovuto illustrare “Petrolio” – «il romanzo a cui lavorerò per il resto della mia vita», diceva allora – ebbe pochi dubbi. «Quando mi presentai gli portai il lavoro che avevo fatto con Man Ray – disse Pedriali nel 2014 alla giornalista Franca Leosini – Le guardò e mi chiese: le hai fatte tu? Certo, dissi. Ho quasi faticato poi a dirgli che non ero in grado di fare quello che mi chiedeva, le fotografie per il romanzo, non avevo le basi per capire, interpretare. Ma più dicevo, più lui si convinceva. Tu più di chiunque altro saprai illustrare il mio libro”. Che mai non fu, se non vent’anni dopo. Perché una volta fatti gli scatti tra Sabaudia e soprattutto Chia, nel Viterbese, nella rocca-rifugio che Pasolini si creò per scrivere, fu ucciso il 2 novembre del 1975. Lo stesso giorno in cui Pedriali avrebbe dovuto portargli i provini del lavoro fatto.
Quelle immagini sono già state pubblicate nel 2011 dall’editore Johan&Levi prima di diventare anche una mostra alla Triennale di Milano. Tornano ora, in occasione del centenario pasoliniano, in una nuova edizione del volume, sempre per i tipi dell’editore monzese (Pier Paolo Pasolini. Fotografie di Dino Pedriali, 128 pagine, 24 euro).
“Le 78 immagini raccolte in questo volume sono il testamento visivo che Pier Paolo Pasolini consegna all’obiettivo di Dino Pedriali alla fine dell’ottobre del 1975. Sono le ultime fotografie che lo ritraggono e che il poeta non farà in tempo a vedere” ricorda l’editore
Le immagini sono state scattate in due sessioni di due giorni ciascuna fra strade, vicino alla sua auto, in camicia. «Mi disse solo di farle come se non sapesse che le stavo facendo» raccontò più tardi Pedriali. Poi a Chia, mentre dipinge e mente scrive e corregge “Petrolio” – già più di 600 pagine dattiloscritte – e ancora mentre legge. Anche nudo, dietro le grandi vetrate che si aprivano nel giardino interno di quella rocca del 1100. “Come fotogrammi di un film pasoliniano – in cui il bianco e nero diventa un modello espressivo – queste immagini danno luogo a un’intensa sequenza, studiata eppure naturale. Con questo libro Pedriali restituisce alla storia il cor po del poeta, così come Pasolini stesso gliel’aveva consegnato. Un viaggio emozionante che diventa patrimonio pubblico e condiviso, te- stimonianza ultima del lascito di Pasolini e del valore artistico di Dino Pedriali” scrive ancora l’editore.
L’ultima “bestemmia” di Pasolini, quella parola che avrebbe voluto diventasse il titolo della raccolta delle sue poesie – e lo sarebbe poi stata, molti anni più tardi – e che sarebbe dovuto essere a metà Sessanta il titolo di un romanzo in versi. Perché la bestemmia non è altro che l’indicibile, quello che Pasolini aveva cercato di affermare da sempre, che stava affidando alla sua grande opera narrativa. Fino al 2 novembre 1975.