Taaaaac, la gallina che non è un animale intelligente, e ancora “A me mi piace il mare” e le parti con Jannacci e Fo. Difficile non avere in mente almeno un tormentone di una delle più famose firme della comicità alla milanese: Cochi e Renato.
Un quarto di secolo dopo, ma è storia recentissima, la coppia è tornata tale “all’insegna di una comicità che con le galline, dei cani molto magri, il mare a Milano e tante belle gioie non riesce mai a passare di moda” assicura Sagoma che poche settimane prima aveva già aggiunto un capitolo, fondamentale, alla storia della comicità italiana: “L’arte ribelle. Storia del cabaret da Parigi a Milano” (256 pagine, 20 euro) con cui Flavio Oreglio (proprio lui, uno dei più sottili cabarettisti del panorama italiano) parte dalle radici dello Chat Noir sulla collina di Montparnasse per atterrare al Derby e allo Zelig, l’ultimo tempio dell’arte delle staffilate anarchiche: i luoghi in cui il re è sempre nudo.
Oreglio, che già sette anni fa aveva firmato per Giunti con Giangilberto Monti “La vera storia del cabaret: dall’uomo delle taverne alla bit generation”, allarga il respiro e decide di raccontare volti e fatti di un fenomeno “che attraversa la cultura dalla fine dell’Ottocento a oggi ed è fatta di parole, poesia, musica, pittura e canzoni. Una storia di personaggi deflagranti e intento artistico alto – da Toulouse-Lautrec a Cochi e Renato, da Giorgio Gaber a Filippo Tommaso Marinetti, da Manet a Dario Fo (che in copertina compare nei panni del celebre cabarettista parigino Aristide Bruant, raffigurato all’epoca da Toulouse Lautrec, ndr), passando per Enzo Jannacci, Paul Gauguin e molti altri – che ha prodotto capolavori artistici assoluti, sperimentando nuovi linguaggi alimentati da un sano ribellismo delle idee”.
Un volume che ha fatto dire a Enrico Intra che è un “libro-documento che dovrebbe far arrossire chi ha raccontato altro sulla nascita e l’affermarsi di questa forma di spettacolo”.
Una storia che “in Italia non è mai stata raccontata e che dimostra che questo genere non ha niente a che vedere con i comici – ricorda Oreglio – anche se nel cabaret si ride, e che non è solo un luogo e una forma di spettacolo: il cabaret, infatti, è una delle più evolute manifestazioni di quella che potremmo definire “arte ribelle”, frutto di un’indole libertaria e figlia irriverente del libero pensiero, da sempre ribollente nell’underground della storia dell’umanità”.